VINCOLO IDROGEOLOGICO E PIANO DI ASSETTO IDROGEOLOGICO

Stante l’articolata orografia esistente quasi ovunque, dall’arco alpino fino alle latitudini più basse della penisola, gli approcci legislativi alla prevenzione del rischio idrogeologico iniziano già all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia.

Il primo intervento normativo in materia di difesa del suolo si ha infatti nel 1877, con la legge Majorana – Catalbiano, la quale stabiliva che la proprietà privata doveva essere gestita anche nel rispetto degli interessi della comunità ed istituiva il primo vincolo di tipo forestale ai terreni boscati o montani suscettibili di franare, ad erosione e a dilavamento, che avrebbero potuto per questo arrecare danno alla popolazione, o alterare il corso delle acque.

Con la legge Luzzatti poi, del 1910, il bosco pubblico diventava inalienabile, per mezzo del Demanio forestale dello Stato.

A quasi cinquant’anni dal primo vincolo forestale, nel 1923, arrivava il vero e proprio “vincolo idrogeologico”. Il Regio Decreto 30 dicembre 1923 n. 3267, noto anche come legge Serpieri e tutt’oggi vigente strumento di individuazione delle aree soggette a vincolo, estende infatti l’oggetto della tutela ai “terreni di qualsiasi natura e destinazione che per effetto di forme di utilizzazione contrastanti […] possono, con danno pubblico, subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque”. Inoltre tale norma distingue l’imposizione del vincolo idrogeologico in diretta, per prevenire i dissesti ed in indiretta, per includere i terreni in un piano di bonifica integrale o montana. La legge Serpieri decenni dopo è stata revisionata alla luce del trasferimento della competenza del patrimonio forestale dallo Stato alle regioni.

Fig. 3 – Localizzazione del vincolo idrogeologico: in giallo aree non vincolate, in rosso aree vincolate.

Grazie al POR-FESR 2014-2020 Azione 2.3.1, il SIAT della Regione Umbria (Sistema Informativo Ambientale e Territoriale) ha digitalizzato e georeferenziato negli anni scorsi l’intera cartografia cartacea d’archivio prodotta inizialmente dalla Milizia Nazionale Forestale e sulla base della quale ancora oggi sono individuati i terreni sottoposti a vincolo idrogeologico. La digitalizzazione riguarda ogni territorio comunale della Regione e, con riferimento ai dieci Comuni della medio-alta Valnerina, si propone con l’immagine seguente (Fig. 3) l’individuazione delle aree soggette a vincolo (contenuto tratto da https://siat.regione.umbria.it/vincoloidrogeologico/, modificato). Ciò che colpisce al primo colpo d’occhio è che, anzitutto, la quasi totalità del territorio risulta soggetta a vincolo; inoltre, buona parte dei fondovalle dei corsi d’acqua principali (Nera, Corno) non è soggetta a vincolo. Infine, il Comune di Poggiodomo è l’unico, fra i dieci Comuni, ad avere il proprio territorio completamente assoggettato a vincolo.

In epoca più recente, nel 1989, il legislatore ha fissato l’ambizioso obiettivo di rivedere l’intera normativa in materia di difesa del suolo, producendo la legge del 18 maggio n. 183 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo”. Tale testo rappresenta una tappa storica su questo ampio e complesso tema, in quanto consolida la suddivisione del territorio secondo “bacini idrografici” (già individuati dal DPCM 22/12/1977, bacini delimitati in base alla linea spartiacque topologica e non politico-amministrativa) e richiede – all’ente all’uopo designato, ovvero l’Autorità di Bacino – l’elaborazione di un “Piano di Assetto Idrogeologico”, ovvero uno studio che possa aggiornare continuamente le problematiche riguardanti la difesa e la valorizzazione del suolo, nonché garantire la salvaguardia della qualità delle acque a scala di bacino idrografico. Principio rivoluzionario del nuovo PAI, è che esso risulta sovraordinato rispetto alla pianificazione urbanistica e di settore.

Il PAI, in sostanza:

  • rappresenta lo strumento di gestione del bacino idrografico;
  • pertanto, rappresenta lo strumento conoscitivo, normativo, tecnico-operativo attraverso il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa ed alla valorizzazione del suolo e della corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio (art. 17, L. 183/1989);
  • prevede l’attuazione di opere su base triennale;
  • impone la corretta utilizzazione delle risorse e la conservazione del suolo condizionando la pianificazione urbanistica.

Il PAI ha l’obiettivo di migliorare l’assetto idrogeologico del bacino attraverso sia interventi strutturali, che disposizione di norme. Attraverso i primi riduce attivamente il rischio; le seconde sono invece utili per gestire correttamente il territorio, per prevenire nuove situazioni di rischio e applicare misure di salvaguardia in caso di rischio accertato. Le linee di attività riguardano i bacini montani (anche con l’elaborazione di una carta della funzione di difesa idrogeologica dei soprassuoli), il rischio geologico (anche con l’elaborazione di un inventario dei fenomeni franosi) ed il rischio idraulico (anche con l’elaborazione di carte delle aree inondabili).

Da quanto sopra esposto si nota come il termine più ricorrente, quello intorno al quale è incardinato il concetto di gestione, è “rischio”. Il concetto di rischio assunto dal PAI fa riferimento alla relazione di Varnes, secondo la quale:

R = P x V x K

in cui,

  • R: rischio espresso in termini di danno atteso riferito al costo sociale, di recupero e ristrutturazione dei beni materiali danneggiati dall’agente calamitoso
  • P: pericolosità, ovvero probabilità di accadimento dell’evento di una certa intensità
  • V: valore esposto, quale identificazione del valore sociale, economico, di persone, beni ed infrastrutture che ricadono nell’area soggetta al fenomeno
  • K: vulnerabilità, quale percentuale del valore esposto che andrà perduto nel corso dell’evento.

Il DPCM 29/09/1998 definisce quattro categorie di rischio:

  • R4, rischio molto elevato: per il quale sono possibili la perdita di vite umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale, la distruzione di attività socio-economiche
  • R3, rischio elevato: per il quale sono possibili problemi per l’incolumità delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture con conseguente inagibilità degli stessi, la interruzione di funzionalità delle attività socioeconomiche e danni rilevanti al patrimonio ambientale
  • R2, rischio medio: per il quale sono possibili danni minori agli edifici, alle infrastrutture e al patrimonio ambientale che non pregiudicano l’incolumità del personale, l’agibilità degli edifici e la funzionalità delle attività economiche
  • R1, rischio moderato: per il quale i danni sociali, economici e al patrimonio ambientale sono marginali.

Ma in che modo, il PAI, arriva a definire i fattori che compongono il rischio?

Anzitutto definendo la pericolosità, ovvero stabilendo la probabilità di accadimento dell’evento di una certa intensità. La pericolosità – alla quale si arriva studiando le caratteristiche idrologiche e climatiche di un’area, e successivamente elaborando le portate di progetto calcolate per differenti tempi di ritorno (Tr) ed infine compiendo simulazioni idrauliche – porta alla delimitazione delle aree inondabili, ovvero alla delimitazione delle fasce di pericolosità idraulica, che sono tre, e alle quali corrisponde una fascia di assetto (A, B e C) che disciplina le attività compatibili al suo interno.

Gli obiettivi di assetto per le tra fasce sono in tal modo riassumibili:

  • Fascia A: garantire il libero deflusso della piena di riferimento con Tr 50 anni; consentire la libera divagazione dell‘alveo inciso assecondando la naturalità delle dinamiche fluviali; garantire la tutela ed il recupero delle componenti naturali dell‘alveo funzionali al contenimento di fenomeni di dissesto (vegetazione ripariale, morfologia).
  • Fascia B: garantire il mantenimento delle aree di espansione naturale della piena; controllare la pressione antropica; garantire il recupero e la tutela del patrimonio storico – ambientale.
  • Fascia C: assicurare un sufficiente livello di sicurezza alle popolazioni insediate, ai beni ed ai luoghi attraverso la predisposizione di Piani di cui alla L. 225/92 (ovvero quelli di Protezione Civile).

Successivamente alla pericolosità, si valuta il valore del bene esposto, ed il PAI ha assunto come elemento di valutazione principale quello della possibilità di perdita di vite umane in relazione alle specifiche destinazioni d’uso dei beni distribuiti sul territorio.

Infine si analizza la vulnerabilità di un bene, la quale dipende dalla sua capacità di resistere all’evento calamitoso in relazione all’intensità di quello specifico evento (come per la pericolosità, anche per la vulnerabilità è stata prodotta apposita cartografia sulla base di tre livelli di intensità).

La combinazione dei tre fattori sopra richiamati ha permesso di redigere la carta del rischio e di attribuire quindi, alle aree inondabili, le specifiche classi di rischio esplicitate in precedenza (da R1 ad R4).

La carta relativa alle classi di rischio è inclusa nel Piano stralcio 6 del Piano di Assetto. Infatti, oltre al progetto del Piano di Bacino, sono stati sviluppati in parallelo sia i Piani stralcio (per settori funzionali e per specifici sottoambiti territoriali, per un totale di 10), che gli Schemi previsionali e le Misure di salvaguardia.

La cartografia che individua le fasce fluviali e le zone di rischio del reticolo principale rientra nel Piano stralcio originario, mentre quella riferita al reticolo secondario e minore è acclusa all’aggiornamento approvato nel 2013.

Nell’ambito della tematica di cui all’oggetto (futura pianificazione di azioni per la gestione di una fascia ripariale finalizzate alla riduzione del rischio idraulico) e con riferimento all’area di che trattasi, particolare rilevanza assume la seguente documentazione normativa prodotta dall’Autorità di Bacino del Fiume Tevere, la quale Autorità ricomprende integralmente il territorio del Consorzio B.I.M.:

  • Norme Tecniche di Attuazione aggiornate con Deliberazione n. 127/2013, attraverso le quali vengono disciplinate le attività antropiche all’interno delle aree inondabili;
  • Linee guida per la individuazione e definizione degli interventi di manutenzione delle opere idrauliche e di mantenimento dell’officiosità idraulica della rete idrografica, presenti tra gli Allegati delle prime NTA approvate nel 2006.

Tutto quanto appena illustrato ha conosciuto, negli ultimi anni, una notevole evoluzione normativa, che viene trattata nello specifico al paragrafo seguente.


LA DIRETTIVA 2007/60/CE

L’evoluzione alla quale si è appena accennato ha inizio con l’emanazione, da parte dell’Unione Europea, della Direttiva “Alluvioni” 2007/60/CE, mediante la quale si pone l’accento sugli effetti negativi per la salute umana, il territorio, i beni, l’ambiente, il patrimonio culturale e le attività economiche e sociali, derivanti dalle alluvioni.

Tale Direttiva, recepita dallo Stato Italiano attraverso il DLgs 49/2010, prevedeva che entro il 2015 gli Stati membri avessero redatto i Piani di gestione del rischio alluvioni (PGRA) attraverso i quali affrontare, a scala di distretto idrografico, tutti gli aspetti legati ai fenomeni alluvionali. È stato delineato un apposito percorso per la redazione dei Piani, definito da una serie di stadi di implementazione, caratterizzati da specifici obblighi e scadenze, all’interno di un ciclo di gestione avente periodicità di 6 anni. I PGRA sono stati predisposti dalle Autorità di bacino distrettuali, in conformità con le attività di predisposizione dei Piani di Assetto Idrogeologico già svolte in precedenza.

Con il PGRA si sono definiti, in particolare, il quadro della pericolosità e del rischio, gli interventi (strutturali e non) da attuare sul territorio per la riduzione del rischio, nonché le misure per la gestione delle emergenze da rischio idraulico ai fini di protezione civile (tale ultimo aspetto di competenza delle Regioni).

Il periodico riesame e l’eventuale aggiornamento dei Piani ogni 6 anni consente di adeguare la gestione del rischio di alluvioni alle mutate condizioni del territorio, anche tenendo conto del probabile impatto dei cambiamenti climatici sul verificarsi di alluvioni.

Come si diceva, alle Regioni e Province autonome, in coordinamento tra loro e con il Dipartimento di Protezione Civile, spetta il compito di predisporre la parte dei piani di gestione per il distretto idrografico di riferimento relativa al sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idraulico ai fini di protezione civile.

La Direttiva Alluvioni segue, rifacendo propri molti concetti, la Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) ed oltre che agire attivamente nell’ambito della prevenzione e della gestione del rischio, promuove l’integrazione fra tutela ambientale e pianificazione territoriale, secondo il principio dello sviluppo sostenibile. Per questo, oltre alla redazione del PGRA, all’Autorità di bacino distrettuale spetta anche l’adozione del Piano di gestione del distretto (PGD). Importante sottolineare che per quanto riguarda la tutela e gestione della risorsa idrica gli strumenti alla base del PGD sono rappresentati dai Piani Regionali di Tutela delle Acque (PRTA); inoltre, il PGD prevede, quali strumenti negoziati utili ad una corretta gestione delle risorse idriche e alla valorizzazione dei territori fluviali, appositi “Contratti territoriali”, atti primariamente a svolgere la funzione di catalizzatori delle risorse dei portatori di interesse, coinvolgendoli anche finanziariamente nella realizzazione degli interventi strutturali e corresponsabilizzandoli nel sostegno alle azioni non strutturali che comportano condizionamenti e limiti alle loro attività sul territorio. I contratti territoriali sono stati introdotti dal legislatore nel 2015, la legge dello stesso anno n. 221 (capo VII), all’art. 59 recita: “1. Al capo II del titolo II della parte terza del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, dopo lʼarticolo 68 è aggiunto il seguente:
«Art. 68-bis (Contratti di fiume). — 1. I contratti di fiume concorrono alla definizione e allʼattuazione degli strumenti di pianificazione di distretto a livello di bacino e sottobacino idrografico, quali strumenti volontari di programmazione strategica e negoziata che perseguono la tutela, la corretta gestione delle risorse idriche e la valorizzazione dei territori fluviali, unitamente alla salvaguardia dal rischio idraulico, contribuendo allo sviluppo locale di tali aree»
“.

La partecipazione pubblica non è solo promossa dalla Direttiva Acque, ma anche dalla 2007/60/CE. La comunicazione e la partecipazione del pubblico all’iter di elaborazione dei PGRA rivestono, secondo la Direttiva, un ruolo strategico ai fini della condivisione e legittimazione dei piani stessi. Per questo, le Autorità di bacino distrettuali e le Regioni afferenti il bacino idrografico, in coordinamento tra loro e con il Dipartimento nazionale della Protezione Civile, ciascuna per le proprie competenze, metteno a disposizione la valutazione preliminare del rischio di alluvioni, le mappe della pericolosità e del rischio di alluvioni ed i piani stessi. Le stesse Autorità promuovono poi la partecipazione attiva all’elaborazione, al riesame e all’aggiornamento dei piani di gestione di tutti i soggetti competenti interessati.


IL PIANO DI GESTIONE DEL RISCHIO ALLUVIONI DELL’APPENNINO CENTRALE

Il Piano di gestione del Rischio Alluvioni dell’Appennino Centrale (PGRAAC), redatto nel rispetto della direttiva 2007/60 dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino centrale, è stato approvato dal Presidente del Consiglio dei Ministri con apposito atto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 28 del 3 febbraio 2017.

Il Piano è stato preceduto dalla mappatura della pericolosità e del rischio per il Distretto idrografico dell’Appennino centrale. Tali mappe contengono la perimetrazione del territorio potenzialmente interessato dall’esondazione di un corso d’acqua secondo le seguenti ipotesi:

  • scarsa probabilità di alluvioni o scenari di eventi estremi;
  • media probabilità di alluvioni;
  • elevata probabilità di alluvioni;

indicando per ogni scenario l’estensione dell’inondazione, il tirante idrico e le caratteristiche del deflusso (velocità e portata).

Le mappe di rischio indicano invece le conseguenze negative derivanti da alluvioni per ciascuno degli scenari di pericolosità sopra indicati. Il D.Lgs 49/2010 prevede 4 classi di rischio espresse in termini di numero di abitanti potenzialmente interessati, presenza di infrastrutture e strutture strategiche nonché beni ambientali, storici e culturali, distribuzione e tipologia delle attività economiche, presenza di impianti potenzialmente inquinanti e di aree protette. A monte della redazione delle mappe del rischio vi è quella del danno, inteso come alterazione negativa che può essere arrecato dall’alluvione all’elemento che può essere potenzialmente coinvolto (esposto). Gli elementi considerati per il danno sono ovviamente quelli già citati per il rischio e questo viene misurato in numero di persone coinvolte, superficie delle aree coinvolte, numero di ospedali, scuole e altre strutture importanti investite, ecc. Le classi del danno, da interfacciare a quelle del rischio, sono sempre quattro: D4 danno potenziale molto elevato, D3 danno potenziale elevato, D2 danno potenziale medio, D1 danno potenziale moderato o nullo.

Altre informazioni sono considerate utili, come le aree soggette ad alluvioni con elevato volume di trasporto solido e colate detritiche o informazioni sulle rilevanti fonti di inquinamento.

Fig. 4 – in rosso l’individuazione delle aree per le quali è stata realizzata la mappatura sensu Dir. 2007/60/CE

L’esistenza dei già costituiti Piani di Assetto Idrogeologico (PAI), redatti ai sensi della L. 183/89, ha fornito un’adeguata base di partenza per la mappatura della pericolosità, del danno e del rischio (e successivamente del PGRA), la quale è stata – in forza della Direttiva 2007/60/CE, opportunamente aggiornata, omogenizzata e valorizzata.

Il D.Lgs. 49/2010 dispone che i piani di gestione siano predisposti nell’ambito delle attività di pianificazione di bacino di cui al D.Lgs. 152/2006 tenendo conto dei seguenti aspetti: portata della piena ed estensione dell’inondazione, vie di deflusso delle acque e zone con capacità di espansione naturale delle piene, obiettivi ambientali di cui alla parte terza, titolo II, del D.Lgs. 152/2006, gestione del suolo e delle acque, pianificazione e previsioni di sviluppo del territorio, uso del territorio, conservazione della natura, navigazione e infrastrutture portuali, costi e benefici, condizioni morfologiche e meteomarine alla foce.

Si riporta, in Fig. 14, la localizzazione delle aree per le quali l’Autorità di bacino distrettuale ha provveduto a redigere la mappatura della pericolosità, del danno e del rischio per la medio-alta Valnerina (fonte dei dati: shapefile gentilmente concessi dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale).

Seguono infine estratti del PGRAAC, relativi al programma di misure dell’area omogenea denominata “5.1 Bacino del Nera dalle sorgenti alla confluenza nel Tevere (REGIONI UMBRIA E MARCHE)”.