GENERALITA’

Il fondovalle in esame costituisce un’ampia cerniera geografico-ecologica tra diversi sistemi montani ad elevatissima naturalità, da nord a sud i principali sono:

  • Monte Cavallo (MC) a nord ed i monti di Preci (in connessione poi con quelli sopra Norcia che arrivano sino al confine laziale) a sud;
  • i Monti Maggiore e Santo (a loro volta in collegamento con il Serano e dunque la Valle Umbra) ad ovest ed il comprensorio Monte l’Aspro-Monte Maggio ad est;
  • il comprensorio dato dai rilievi Fionchi-Solenne ad ovest e quello dato dal Coscerno-Civitella ad est.

Qualsiasi tetrapode non volatore che abbia necessità di migrare tra un sistema e l’altro deve permerare detta cerniera; tale situazione esemplifica la condizione geogreafico-ecologica che si ripete, in Valnerina, anche a sud di Ceselli fino alla Cascata delle Marmore.

Il paesaggio e gli ecosistemi di tale territorio offrono poi, ai tetrapodi volatori, una particolare concentrazione di risorse rifugio-trofiche, dovuta alla maggiore diversità e produttività, sia ecologica che biologica, generata dal corpo idrico superficiale permanente, dai terreni profondi, dalla storica mosaicizzazione colturale.

Ad un maggiore dettaglio, tuttavia, risulta evidente la marcata disomogeneità geografico-ecologica che diversifica il paesaggio tra le due sponde: la fascia di territorio che accompagna tutta la sponda destra, da Cervara di Preci a Ceselli, è pesantemente interessata dalla s.s. Valnerina e dai manufatti insediativi e di servizio ad essa connessi. Inoltre, con l’apertura dei trafori stradali di Forca di Cerro e Forca Canapine, lungo tale via di comunicazione il traffico veicolare (in particolar modo quello pesante) è probabilmente incrementato in maniera sostanziale. Al contrario, il buffer che accompagna la sponda sinistra conserva caratteristiche formali e funzionali del paesaggio e degli habitat, che sembrano non essere mutate nel tempo (nonostante la presenza del tracciato della ex ferrovia Spoleto-Norcia).

La fascia di territorio in sinistra del Nera svolge dunque, oggi, una funzione fondamentale nell’offrire rifugio, sostentamento e possibilità di riproduzione alle specie animali ivi presenti; naturalmente non meno importante è la funzione di “corridoio” e “pietra di guado” che tale buffer offre agli individui che varcano la cerniera della Valnerina per connettersi ai sistemi montani sopra citati: l’individuo può compiere spostamenti indisturbato e protetto lungo tale sponda e selezionare il luogo, il momento e l’occasione più propizi per effettuare il passaggio di versante.

Tale realtà fattuale, che per altro in gran parte risulta esterna ad aree vincolare per legge, è indicatore di un sistema ambientale non sottoposto a distress di natura antropica. Solamente in tali realtà, caratterizzate dalle condizioni formali e funzionali descritte, può svilupparsi e mantenersi una comunità faunistica tanto ricca e di alta valenza conservazionistica come quella evidenziata, a titolo esemplificativo, di seguito.

Per quanto riguarda i Mammiferi, tra i Carnivori il lupo è entità di grande interesse naturalistico, presente in Italia con la sottospecie nominale (C. lupus lupus), citato fra l’altro nella Convenzione Internazionale di Berna: Convention on the Conservation of Natural Habitats and of Wild Fauna and Flora, Appendix II; nella Convenzione CITES: Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, Appendix II; è anche annoverato negli allegati II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE. Il gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris) e la Lince sono anch’esse citate nella Convenzione Internazionale di Berna: Convention on the Conservation of Natural Habitats and of Wild Fauna and Flora, Appendix II; nella Convenzione CITES: Convention on International Trade in Endangered Species of Wild Fauna and Flora, Appendix II. La lince, come il lupo, è annoverata negli allegati II e IV della Direttiva Habitat 92/43/CEE.

Altra specie degna di nota è l’autoctona lontra (Allegato II Dir. Habitat). Dando per assodata la definitiva scomparsa di questo mustelide (anche se non sono mai state compiute ricerche ad hoc che abbiano sancito ciò con certezza scientifica), da addebitare molto probabilmente alla sola persecuzione diretta, va rimarcato come l’area in argomento presenti un habitat ad elevatissima potenzialità per la sua reintroduzione.

Riguardo aimesomammiferi l’istrice é presente in Allegato IV Direttiva 92/43/CEE; è da rilevare che l’areale specifico di quest’ultima è in lenta e costante espansione su tutto il territorio nazionale, non esistono per cui sostanziali problematiche relative alla sua conservazione. Per gli Ungulati il cinghiale, per la sua natura ubiquitaria e gli alti valori di abbondanza riscontrabili in Umbria, è così lontano da problemi legati alla sua conservazione tanto da essere al centro di varie problematiche gestionali (impatto in agricoltura, sulla viabilità stradale etc.), al tempo stesso costituisce parte essenziale della base alimentare del lupo. Riguardo ai Chirotteri, taxon di notevole interesse scientifico-conservazionistico, si segnalano per l’area specie anche con status non favorevole, quali il Rinolofo minore, quello maggiore ed il Miniottero.

Altra Classe animale da attenzionare, nell’ambito del lavoro di cui all’oggetto, è quella dei pesci. La maggior parte dei corsi d’acqua presenta una estrema variabilità ambientale, dalle sorgenti alla foce e, con l’abbassamento di quota, cambiano la larghezza dell’alveo, la pendenza, la profondità dell’acqua, il materiale di fondo, la temperatura dell’acqua e la maggior parte delle caratteristiche chimico-fisiche nonché biologiche. Ad esempio nel tratto montano, dove la pendenza è marcata, i corsi d’acqua scorrono in valli strette, l’acqua è piuttosto turbolenta e la sezione dell’alveo è irregolare (possono esserci grossi massi, buche anche profonde). In pianura invece il decorso è più lento, l’alveo è più ampio, il materiale di fondo fine (dato da ghiaia e sabbia). Nel tratto pedemontano le condizioni sono intermedie. In conseguenza di tutto ciò le colonizzazioni vegetali ed animali mutano di aspetto, consistenza ed estensione, sia da una riva all’altra, sia lungo il profilo longitudinale del corso d’acqua. Si assiste così al formarsi di un mosaico di “biozone” che si ripetono, anche se spesso non giustapposte e frammentate, in un chiaro ed elementare disegno fisionomico nei tratti fluviali che presentano condizioni ambientali omogenee. Per le ragioni sopra esposte non è possibile classificare un corso d’acqua in zone omogenee (zonazione longitudinale) utilizzando solo uno o pochi parametri. Risultati soddisfacenti si ottengono, invece, facendo ricorso a variabili biologiche.

Ad esempio, tra gli organismi che colonizzano i corsi d’acqua i pesci sono considerati estremamente validi per caratterizzare la varietà di ambienti fluviali. Conseguentemente, l’utilizzazione della fauna ittica per designare le diverse zone dei corsi d’acqua è diventata sempre più frequente nelle ricerche idrobiologiche e questa permette di classificare in modo efficace i singoli tratti: montani, pedemontani, collinari e di pianura. Le quattro zone ittiche di Huet (1949), trota, temolo, barbo e abramide, sono individuabili dal modello conoscendo i dati di larghezza e pendenza di una sezione o di un tratto fluviale; da questo punto di vista, l’impostazione stabilisce un rapporto diretto tra distribuzione longitudinale dell’ittiofauna e caratteristiche morfologiche dei corsi d’acqua. Per quanto riguarda le specie la zonazione proposta da Huet è da riferire all’Europa occidentale, dal momento che alcune di quelle indicate dall’Autore non sono presenti nel bacino idrografico del Tevere. Per questo, tale modello è stato adattato come segue: Zona superiore della trota, Zona inferiore della trota, Zona del barbo, Zona della carpa e della tinca. Il tratto di fiume Nera interessato dal Piano ricade nella Zona superiore della trota, caratterizzato da acque veloci, fresche e ben ossigenate (ad inquinamento minimo, come riportato nella Sezione 8 della presente Relazione), con cascatelle, substrato roccioso, nelle quali la specie dominante risulta essere la trota fario, le specie comuni lo scazzone ed il vairone, rara l’anguilla.

Nello specifico, la Carta Ittica del Bacino del Fiume Nera rileva, per l’area in esame, la presenza dell’anguilla e del vairone, due specie inserite in Allegato II della Direttiva 92/42/CEE. Per l’intero sito, il Piano di gestione della ZSC IT5210046 indica inoltre rovella e scazzone, classificate al pari di anguilla e vairone in Direttiva Habitat.

Per quanto riguarda l’anguilla, specie a migrazione catadroma, dal testo “la fauna ittica e i corsi d’acqua dell’Umbria” (Regione Umbria, 2010) emerge che essa è presente in regione solo grazie a sistematici ripopolamenti, “stante l’impossibilità di raggiungere l’Umbria dal mare a causa dei numerosi sbarramenti presenti lungo le aste fluviali che ostacolano gli spostamenti di questi pesci”. Riguardo all’ecologia predilige fondali fangosi ed alvei in cui sia presente abbondante vegetazione. Infine l’anguilla è un predatore vorace che caccia in prevalenza di notte e si serve dello sviluppato olfatto per individuare larve di insetti, vermi, molluschi, crostacei, pesci ed anche piccoli anfibi. Le larve si nutrono di plancton animale.

Situazione differente per quanto riguardo lo status del vairone. Esso infatti occupa, con popolazioni naturali, buona parte dei corsi d’acqua dell’Umbria nord-orientale, secondariamente quelli del settore centro-occidentale della regione ed in ultimo la specie è rilevabile lungo alcuni tratti del fiume Nera. Secondo il testo precedentemente citato “predilige acque fresche ed ossigenate (….), ha abitudini gregarie (…) e si riproduce nel mese di aprile, periodo nel quale i riproduttori si riuniscono in gruppo mentre le femmine depongono le uova che aderiscono al fondale ghiaioso”. Viene precisato inoltre che il vairone “è alquanto sensibile alla qualità ambientale; in particolare la frammentazione del suo areale di distribuzione può essere attribuita alle alterazioni degli habitat fluviali, dovute ad interventi di canalizzazione o ad escavazioni in alveo, che danneggiano i substrati per la riproduzione della specie”.

La trota fario, specie dominante, risulta comune e diffusa in gran parte della regione.

Importantissimi, quali bioindicatori, sono poi i macroinvertebrati. Si tratta di organismi viventi nelle acque interne con dimensione superiore al millimetro che compiono almeno una parte del proprio ciclo biologico a contatto con il substrato. Sono rappresentati da numerosi taxa con diversi livelli di sensibilità alle alterazioni ambientali e diversi livelli trofici, inoltre la struttura della comunità è tipica delle diverse zone fluviali che si succedono lungo il profilo longitudinale di un corso d’acqua. La scheda descrittiva della ZSC IT5210046 segnala fra le “altre specie di Flora e Fauna importanti”, Allogamus ausoniae (specie di Tricottero comune) e Potamon fluviatile (Granchio di fiume).

Degna di nota è inoltre l’entomofauna terrestre associata alla vegetazione ripariale in connessione con i boschi di versante; alcune delle categorie sistematiche più frequenti sono rappresentate dai Lepidotteri (e.g. Limentis reducta, Polygonia egea, Argynnis pahia, Erebia sp., Pieris brassicae, Iphiclides podalirius, Normannia sp., Synthomis phegea), dagli Odonati allo stadio adulto (e.g. Calopteryx virgo, Libellula depressa), dai Coleotteri (e.g. Cetonia aurata, Oedemera nobilis), dagli Eterotteri (e.g. Graphosoma italucum) e dagli Omotteri (e.g. Philaenus spumarius).


VEGETAZIONE

Per quanto riguarda la vegetazione, l’area presenta numerosi aspetti botanici di notevole valore naturalistico: lunghi tratti di foresta a galleria composta da salici, pioppi ed ontani, formazioni a Buxus sempervirens e Quercus ilex, ed una ricca vegetazione idrofitica. Tra le entità floristiche significative si ricordano: Fontinalis antypyretica (muschio acquatico), Lemna trisulca (lenticchia d’acqua spatolata), Myriophyllum verticillatum (millefoglio d’acqua ascellare), Myriophyllum spicatum (millefoglio d’acqua comune) e Iris pseudacorus (giaggiolo acquatico) specie considerate rare a livello regionale; Zannichella palustris (zannichellia) idrofita radicante ritenuta specie rara a livello nazionale (tutte le specie sopra citate rientrano nella categoria LC Least Concern della Lista Rossa IUCN).

Alcune delle peculiarità floristico-vegetazionali appena richiamate hanno contribuito a determinare, come si diceva alla Sezione 10 della presente relazione, l’istituzione del Sito Natura 2000 ZSC “Valnerina”. All’interno dell’ambito sono stati individuati diversi habitat comunitari, uno dei quali prioritario, che sono descritti nel dettaglio come segue:

  • cod. 3260 Fiumi delle pianure e montani con vegetazione del Ranunculion fluitantis e Callitricho – Batrachion: questo habitat include i corsi d’acqua, dalla pianura alla fascia montana, caratterizzati da vegetazione sommersa o galleggiante di Ranunculion fluitantis e Callitricho-Batrachion (con bassi livelli di acqua nel periodo estivo) o con muschi acquatici. Gli ambienti che rientrano in questo tipo sono caratterizzati da portata quasi costante, non influenzati da episodi di piena, spesso in zone di risorgiva.
  • cod. 5110 Formazioni stabili xerotermofile a Buxus sempervirens sui pendii rocciosi (Berberidion p.p.): tipo extrazonale (supramediterraneo) costituito da una macchia stabile, xerotermofila e calcicola, con Buxus sempervirens dominante (specie importante in quanto relitto xerotermico del territorio), negli orizzonti collinari e submontani.
  • cod. 6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile: Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile: comunità di alte erbe a foglie grandi igrofile e nitrofile che si sviluppano, in prevalenza, al margine dei corsi d’acqua e di boschi igro-mesofili.
  • cod. 6510 Praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis, Sanguisorba officinalis): praterie magre da fieno a bassa altitudine (Alopecurus pratensis, Sanguisorba officinalis): prati da mesici a pingui, regolarmente falciati e concimati in modo non intensivo, floristicamente ricchi, distribuiti dalla pianura alla fascia montana inferiore, riferibili all’alleanza Arrhenatherion. Si includono anche prato-pascoli con affine composizione floristica.
  • cod. 91E0* Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior (Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae): foreste alluvionali, ripariali e paludose di Alnus spp., Fraxinus excelsior e Salix spp. presenti lungo i corsi d’acqua sia nei tratti montani e collinari che planiziali o sulle rive dei bacini lacustri e in aree con ristagni idrici. Queste cenosi ripariali sono frequentemente invase da numerose specie alloctone, tra cui si ricordano in particolar modo Robinia pseudoacacia, Ailanthus altissima.
  • cod. 92A0 Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba presenti lungo i corsi d’acqua del bacino del Mediterraneo, attribuibili alle alleanze Populion albae e Salicion albae.
  • cod. 9340 Foreste di Quercus ilex e Quercus rotundifolia: boschi dei Piani Termo-, Meso-, Supra- e Submeso-Mediterraneo a dominanza di leccio localizzate su substrati da calcicoli a silicicoli, da rupicoli o psammofili a mesofili, generalmente pluristratificati, ampiamente distribuiti nella penisola italiana sia in ambito costiero e subcostieri sia nelle aree interne appenniniche e prealpine. Lo strato arboreo di queste cenosi forestali è generalmente dominato in modo netto dal leccio, spesso accompagnato da Fraxinus ornus.

La fascia ripariale, ove coincidente con habitat sensu Dir. 92/43/CEE, è sostanzialmente ascrivibile alle Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior oppure alle Foreste a galleria di Salix alba e Populus alba. Di particolare interesse risultano essere le prime, costituenti appunto boschi igrofili con presenza di ontano, in quanto considerate rare in Umbria (Del Favero, 2010). Da rilevare anche che lungo il tratto di interesse, per quanto riguarda le seconde, di norma si rileva Populus nigra, piuttosto che P. alba (facente parte, comunque, della combinazione fisionomica di riferimento dell’habitat cod. 92A0). In ogni modo, come descritto dal Manuale italiano di interpretazione degli habitat (Minambiente), “i boschi ripariali sono per loro natura formazioni azonali e lungamente durevoli essendo condizionati dal livello della falda e dagli episodi ciclici di morbida e di magra. Generalmente sono cenosi stabili fino a quando non mutano le condizioni idrologiche delle stazioni sulle quali si sviluppano; in caso di allagamenti più frequenti con permanenze durature di acqua affiorante, tendono a regredire verso formazioni erbacee; in caso di allagamenti sempre meno frequenti, tendono ad evolvere verso cenosi mesofile più stabili”.

Quanto riferito trova sostegno nella Carta della vegetazione naturale potenziale dell’Umbria; questa rappresenta la distribuzione sul territorio della vegetazione naturale potenziale, quella cioè che a partire dalle presenti caratteristiche floristico-vegetazionali e condizioni climatiche si svilupperebbe in modo naturale in assenza di qualsiasi intervento antropico. Si tratta quindi di un’illustrazione nel quale non vengono rappresentati i tipi di vegetazione attuali o reali, ma vengono individuati quelli che si verrebbero a costituire se gli equilibri naturali non fossero modificati o bloccati da più fattori ambientali. Secondo detta Carta, nel fondovalle la vegetazione naturale è data da boschi ripariali igrofili a prevalenza di salice bianco (Salix alba) o ontano nera (Alnus glutinosa) dei terrazzi fluviali di I° ordine con substrato costituito da depositi alluvionali attuali e recenti. Il fatto che, buona parte della fascia ripariale presente lungo il Nera coincida con la vegetazione di riferimento, sta ad indicare – per queste porzioni – bassa perturbazione antropica e quindi indubbio pregio naturalistico.

Risulta oltremodo opportuno, considerato l’oggetto del Piano di che trattasi, procedere con approfondimenti riguardanti ecologia, funzionamento ed aspetti colturali relativi a queste due formazioni: alneti di ontano nero e per quelle a salici e pioppi.

Alneti di ontano nero

Gli ontani hanno accrescimento più o meno rapido e sono relativamente poco longevi (intorno al secolo). Particolarità dell’ontano nero è costiuita dall’essere azotofissatore, in quanto entra in simbiosi actinorrizica con il genere Frankia, microrganismo azotofissatore che colonizza le sue radici.

La disseminazione è anemocora, anche se spesso l’acqua corrente contribuisce ad ampliare il raggio di disseminazione; ha però anche grande capacità pollonifera, per cui viene normalmente governato a ceduo.

L’apparato radicale è esteso, ma rimane sempre superficiale. Tollera egregiamente la sommersione delle radici (più del frassino ossifillo) ed è molto esigente in luce.

L’ontano nero ha un’ampia valenza ecologico-climatica, in quanto è presente dalle aree montuose a quelle planiziali, ma una ridotta valenza pedologica, in quanto necessita di terrazzi alluvional con suoli dotati di grandi quantitativi idrici, le cui vicine acque correnti abbiano una velocità ridotta e nel corso dell’anno conoscano variazioni quantitative minime.

In queste condizioni, detta specie forma soprassuoli puri, ma frammentari e generalmente di limitata estensione. Da rilevare che nelle sperimentazioni per l’impianto misto in cedui da biomassa è emerso che i salici esercitano una azione allelopatica che deprime lo sviluppo degli ontani (Bernetti, 1994).

Il naturale funzionamento di questo sistema forestale (costituito dalle fasi di rinnovazione, competizione, stabilizzazione e decadenza), determinato principalmente dalla disponibilità di risorse e della presenza/assenza di perturbazioni, prevede (ovvero funzionamento di tipo C proposto da Del Favero, 2010):

  • presenza di risorse scarsa e discontinua;
  • presenza di perturbazioni cicliche, anche di intensità elevata, che ne determinino l’anticipato termine del ciclo vitale.

Una curiosità sull’ontano nero è data dal fatto di essere stato (e di esserlo tuttora in molti casi) utilizzato per la realizzazione delle palafitte sofferse di Venezia (persino le fondamenta del Ponte di Rialto sarebbero in ontano nero).

Formazioni a salici e pioppi

Sia i salici che i pioppi sono taxa ad elevata ibridabilità intragenerica, aspetto che rende complicata la loro sistematica (in particolare in Salix). Generalmente eliofici ed igrofili, vantano spiccate doti di pionerismo.

Nei salici a portamento arboreo l’apparato radicale è molto ampio ma rimane superficiale, nonostante ciò grazie all’elevata capacità rizogenetica e le caratteristiche di pionerismo è il genere più utilzzato nelle opere di difesa antierosive (anche grazie alla capacità di rigenerazione per talea). Essendo specie pioniere, i salici si ritrovano spesso in stadi iniziali e transitori delle successioni forestali nonché in nicchie molto perturbate, per le quali è escluso l’ingresso di specie più stabili.

Lungo il tratto di Nera interessato dal Piano sono rilevabili le seguenti entità: Salix purpurea, S. eleagnos (queste prime due nei pressi di corsi d’acqua a regime torrentizio o comunque in tratti a prevalenza di depositi grossolani), S. alba, S. apennina e S. amplexicaulis (queste ultime nei pressi di corsi d’acqua a lento fluire, ma S. amplexicaulis anche nei pressi di corsi d’acqua a regime torrentizio).

In maggioranza non tollerano la sommersione permanente delle radici e la resistenza alle potenti correnti di piena è dovuta alla flessibilità del fusto e dei rami.

S. caprea, salicone o salice delle capre, è altresì presente.

I pioppi rinvenibili lungo la porzione del corpo lotico considerata sono generalmente: Populus nigra, P. n. var. italica e Populus alba (quest’ultima meno frequente).

Tutte hanno forte rapidità di crescita e l’apparato radicale si allarga ampiamente producendo anche grosse radici laterali, al tempo stesso si rende profondo a mezzo delle numerose radici verticali, a meno che la falda non lo impedisca.

Il pioppo bianco è più esigente in calore estivo (termofilo) e probabilmente più tollerabile suoli meno fertili. Longevo (anche 300 anni), può vegetare, con i salici, su greti leggermente ghiaiosi emettendo abbondanti polloni radicali. Tollera meglio del pioppo nero la sommersione temporanea.

Il pioppo nero è specie più rustica del suo congenerico rispetto al tipo di terreno. Cresce con difficoltà ove l’acqua ristagni ed il suo optimum è costituito da terreni freschi, profondi e sciolti. Emette, anche se in misura inferiore agli altri pioppi, polloni radicali.

Il funzionamento di questo sistema forestale può essere lo stesso di quello citato per l’ontano nero, ma più frequentemente è in tal modo caratterizzato:

  • ridotta e discontinua presenza di risorse, con condizioni di stress costantemente presenti;
  • disturbi continuamente presenti, che determinano notevoli limiti per la vita vegetale.

In particolare, più gli individui sono vicini all’alveo e più gli effetti delle perturbazioni aumentano, condizione che determina una forte instabilità nel tempo.

Con quanto sopra esposto si è accertato che vi è una formazione, quella dei salici e dei pioppi, i cui individui hanno un ciclo vitale fortemente condizionato dai disturbi naturali ed un’altra, l’alneto, certamente più stabile. Grazie allo spiccato pionierismo i salici non hanno mai problemi di rinnovazione e riescono sempre ad assicurare la funzione di ecotono, ovvero di “zona cuscinetto” (intesa come transitoria) fra l’ecosistema acquatico e quello terrestre. La presenza di pioppi però, stante l’elevata velocità di accrescimento, le dimensioni, la minore capacità di sopportare la sommersione e l’ubicazione (per diverse ragioni generalmente a ridosso del corpo idrico), è spesso la causa scatenante di pericolo idraulico in quanto costituente in alveo, a seguito di schianti naturali, ostruzioni e colli di bottiglia.