Target
Obiettivi | Contribuire alla riduzione del rischio idraulico. |
Localizzazione intervento | Lungo l’intero tratto di 45 Km. |
Soggetto esecutore | Enti pubblici, privati frontisti (o loro delegati). |
Titolo di legittimazione sul terreno interessato dall’intervento | L’intervento si attua nei 10 metri di cui al comma 1 art. 115 del Dlgs 152/2006. |
Descrizione e motivazioni
Come riportato nella premessa di “piani e progetti previsti dal CdF” le azioni e gli obiettivi di Piano descritti dalla presente relazione non partono da una logica puramente assestamentale, e dunque la loro proposizione non si fonda su dati provenienti da rilevamenti dendroauxologici effettuati in campo. Ciò è motivato dal fatto che il presente non è un piano di assestamento, e per chiarire tale aspetto appare utile ricordare quali sono le finalità dell’assestamento forestale, partendo dalle definizioni relativamente recenti date da alcuni illustri Forestali italiani.
Secondo Bernetti (1989) l’assestamento è una pratica e una disciplina di studio che ha lo scopo di ordinare i boschi con piani di gestione particolareggiati adatti a garantire la produzione continua di legnami, oppure l’erogazione continua di servizi pubblici, senza pericoli di deterioramento.
Per Bovio et al. (1995), la finalità dell’assestamento è quella di avere il prodotto massimo, costante e perpetuo.
Secondo gli Autori del manuale “Nuove metodologie nella elaborazione dei piani di assestamento dei boschi” (I.S.E.A., 1986) l’assestamento ha sostanzialmente tre finalità. La prima: quella di garantire la conservazione del bosco. La seconda: migliorare qualitativamente e quantitativamente la produzione legnosa. La terza: dare al bosco un ordinamento nel tempo e nello spazio tale da consentire la percezione di un prodotto annuo, anziché periodico, e possibilmente costante (in massa); è implicito che ciò presuppone la trasformazione del “bene foresta” in reddito.
Appare chiaro dunque che diversamente dagli obiettivi perseguiti dall’assestamento, in questo caso si vorrebbe gestire la fascia ripariale non per ottenere una produzione massima e costante di legname, non perché si voglia che in prima istanza essa eroghi un servizio pubblico, ma primariamente perché si vuole evitare – in ottica preventiva – che la sua componente arborea crei ostruzioni/occlusioni in alveo e quindi sovralzo idrico, compromettendo il regolare deflusso idraulico inficiando gli aspetti di sicurezza idraulica. La fascia ripariale, se gestita, potrà poi erogare un servizio pubblico nel senso di contribuire alla difesa idrogeologica dell’ambito di fondovalle, ma solo dopo che sarà stato abbassato il rischio appena richiamato.
E la gestione della fascia ripariale vuole (e deve) essere perseguita contemperando le esigenze di tutela paesaggistica nonché quelle di conservazione ambientale, tematiche – queste ultime due – difficilmente ascrivibili nell’alveo dei rigidi schemi di misura e calcolo che sono a fondamento della dendrometria, e dunque dell’assestamento forestale.
Al tempo stesso il presente Piano può essere classificato come di gestione forestale, in quanto le attività trattate sono descritte come tali dal comma 1 art. 7 Dlgs n. 34/2018.
Ecco dunque che la presente azione riprende – adattandole al contesto di riferimento – esperienze di gestione relative ad altri ambiti fluviali, validate scientificamente e delle quali è già stata provata l’efficacia.
Il tratto di fiume interessato dal processo di pianificazione è lungo, come già detto, circa 45 Km. Prende avvio dalla zona a monte della località Cervara di Preci, a circa 480 m slm, per giungere a valle di Ceselli di Scheggino, a circa 265 m slm, con un dislivello maggiore di 200 metri.
La fascia fitoclimatica attraversata, secondo i criteri di Mayr-Pavari, è quella del Castanetum, ovvero quella che si estende dalla pianura Padana alle zone collinari fino ai 700-900 metri, caratterizzate da clima temperato fresco. Via via che ci si sposta verso sud, il Castanetum occupa stazioni ad altitudine crescenti. È la zona delle foreste miste di latifoglie decidue: castagneti, querceti, frassineti, ecc., ma anche pioppeti e saliceti presso i corsi d’acqua e le zone umide.
Il soprassuolo di fondovalle è costituito essenzialmente dalla fascia ripariale che si vorrebbe gestire, a ridosso del corso d’acqua, caratterizzata da formazioni forestali miste, in cui le specie arboree dominanti sono l’ontano nero, il pioppo nero ed i salici. Attualmente, e probabilmente da decenni, per la fascia ripariale non è praticata alcuna forma di governo del bosco – ne consegue che essa non sia soggetta ad alcun tipo di trattamento. Possono rinvenirsi tratti a fustaia disetanea, con struttura multiplana, come anche ceppaie costituite da polloni di salici insediati a seguito di perturbazione.
Per tentare di ricostruire la “storia selvicolturale” della fascia ripariale degli ultimi decenni è utile visionare i voli IGM-GAI messi a disposizione dal Sistema Informativo Ambientale e Territoriale della Regione Umbria, attraverso il servizio “Paesaggi nel tempo” (https://siat.regione.umbria.it/paesaggineltempo/). A conferma delle considerazioni prodotte in precedenza è indubbio che l’attuale fascia ripariale sia molto più ampia di quella presente 65 anni fa (cfr. Fig. 1). Già dal 1977 si nota una progressiva espansione, ma dalle immagini riferite al biennio 1954-1955 si evince chiaramente come la vegetazione fosse contenuta a ridosso del fiume. Dalle continue utilizzazioni degli anni ’50 dello scorso secolo vi è dunque un progressivo indebolimento dell’attività avvenuto nei decenni successivi, fino ad arrivare al sostanziale “non intervento” dei primi anni 2000, quando è stato istituito il pSIC “Valnerina” a seguito dell’emanazione del DPR 357/97 in tema di Natura 2000.

Gli interventi selvicolturali in dettaglio
Da ricerche svolte negli ultimi anni risulta che in caso di alvei stretti sia conveniente – ai fini della sicurezza idraulica – avere una spaziatura degli alberi che sia almeno dieci volte il loro diametro (Preti e Guarnieri, 2005).
Assumendo che la sezione d’alveo possa essere divisa in 3 subaree nelle quali transitano altrettante portate (Qs in sponda sinistra, Qd in sponda destra e Qc in centro alveo) (Masterman e Thorne, 1992), l’affermazione sopra riportata trae origine dalla constatazione che in alvei caratterizzati da un rapporto larghezza/profondità (B/h) basso, la vegetazione spondale è in grado di influenzare il contributo delle portate laterali rispetto alla portata totale, ciò in funzione della vegetazione presente e della forma della sezione.
In particolare, per rapporti B/h inferiori a 9, la vegetazione comporterebbe una “riduzione di portata transitabile rilevante in termini idraulici” (Preti e Guarnieri, 2005); secondo la stessa fonte “(…) il trattamento della vegetazione spondale deve mantenere le associazioni vegetali in condizioni giovanili, con massima tendenza alla flessibilità ed alla resistenza alle sollecitazioni della corrente (…)“.
Per rendere concreto quest’ultimo passaggio è possibile fare riferimento ad un’ulteriore ricerca (Baronti et al., 2007), la quale asserisce che per garantire anche un’adeguata flessibilità della pianta va assunto come limite massimo tollerabile quello di 2 cm di diametro a 1,60 m da terra.
Ora, non potendo per il Medio Nera agire in modo sistematico sulla forma della sezione d’alveo e dal momento che è dimostrato che tali due parametri riferiti alla vegetazione (distanziamento tra individui e diametro degli stessi) possono influenzare il deflusso idraulico, anche se non possono rappresentare – da soli – obiettivi da perseguire tout cour, possono però senz’altro rappresentare importanti riferimenti sui quali improntare la gestione della fascia ripariale.
Da soli non possono rappresentare la situazione alla quale ambire per il semplice motivo che una fascia ripariale interamente rappresentata da fusti aventi diametro di 2 cm a 1,60 metri da terra – per cui (nel caso ad esempio dei salici) aventi altezze comprese approssimativamente fra i 3 ed i 5 metri – costituirebbe comunque un impatto paesaggistico estremamente rilevante, quale che sia la distanza reciproca tra gli individui.
Allo stesso tempo, l’incidenza sugli habitat comunitari e prioritari sensu Direttiva 92/43/CEE – nonché sulle componenti faunistiche ad essi legate – sarebbe così significativa da non essere sostenibile per le componenti biotiche della ZSC Valnerina.
Gli stessi parametri, come già detto, possono però rappresentare un ovvio orientamento nella gestione della fascia ripariale, perché potrebbero essere utilizzati in corrispondenza di specifici settori della stessa, e solo nei riguardi di alcune specie arboree, quelle più problematiche per la sicurezza idraulica (qui richiamate). Ciò anche nei casi in cui il rapporto B/h lungo il Medio Nera risultasse maggiore di 9, in quanto il problema della vegetazione in alveo è dimostrato, ricorrente e diffuso praticamente lungo l’intero tratto oggetto di pianificazione. Infatti, quanto in precedenza asserito (ovvero che per rapporti B/h inferiori a 9 la vegetazione comporterebbe una riduzione di portata transitabile rilevante in termini idraulici), si riferisce esclusivamente agli alberi in piedi, tralasciando valutazioni relative ai quantitativi di vegetazione morta a terra, la quale come si sa rappresenta lungo il tratto interessato un grave problema di sicurezza idraulica, che in caso di piena può formare sbarramenti e quindi indurre sovralzo idrico, effetto negativo che va a sommarsi a quello già dato dalla vegetazione spondale non gestita.
Riguardo quest’ultimo punto va precisato infatti che Preti e Guarnieri (2005) affermano, nell’ambito della loro ricerca, che non risultano influenzati dalla vegetazione – in termini di capacità di smaltimento – quei tratti fluviali che presentano una forma di sezione con valore B/h superiore a 10, che lungo il Medio Nera si può dire rappresentino la normalità.
In quest’ottica, risulta opportuno avanzare delle considerazioni che conducano alla proposizione degli interventi selvicolturali da effettuare in corrispondenza della fascia riparia.
Anzitutto risulta utile stimare l’ampiezza media della fascia ripariale, riferita all’area di insidenza delle chiome più esterne (compreso dunque il corpo lotico). I 45 Km di tratto fluviale considerato hanno così in dotazione una fascia ripariale di circa 128 ettari, il che vuol dire una profondità totale media della stessa di circa 28,4 metri, ovvero 14,2 metri dal centro alveo al margine della sponda sinistra, e lo stesso per la sponda destra.
Risulta successivamente utile stimare una larghezza d’alveo inciso che sia quanto più rappresentativa possibile dell’intero tratto considerato. Per questo sono utilizzati i dati morfo-idrologici contenuti nella Carta Ittica della Regione Umbria per il bacino del Nera (2003). In tabella vengono riportati: il codice della stazione, la data del rilevamento e la larghezza dell’alveo.
Codice stazione | Data rilevamento | Larghezza alveo (m) |
02NERA01 | 11/05/2000 | 6,0 |
02NERA01 | 09/10/2000 | 5,4 |
02NERA02 | 26/05/2000 | 6,0 |
02NERA02 | 04/10/2000 | 4,5 |
02NERA03 | 26/05/2000 | 10,0 |
02NERA03 | 04/10/2000 | 8,2 |
02NERA04 | 29/05/2000 | 13,0 |
02NERA04 | 22/09/2000 | 10,0 |
02NERA05 | 29/05/2000 | 13,0 |
02NERA05 | 22/09/2000 | 12,0 |
02NERA06 | 29/05/2000 | 15,0 |
02NERA06 | 15/09/2000 | 16,0 |
02NERA07 | 31/05/2000 | 13,0 |
02NERA07 | 08/09/2000 | 15,0 |
Applicando ai valori della larghezza d’alveo sopra riportati tutti e tre gli indici di tendenza centrale risulta che:
- mediana: 11,0
- moda: 13
- media 10,51
- dev. Standard: 3,78011
In considerazione di ciò si ritiene di utilizzare, quale larghezza d’alveo per il tratto considerato, il valore di 10,5 metri.
Sottraendo ai 14,2 metri della fascia ripariale di una sola sponda i 5,25 metri della porzione d’alveo di competenza, risulta che la vegetazione occupa, per ogni sponda, 8,95 m lineari approssimati, per semplicità di calcolo, a 9 metri.
Ai fini della individuazione degli interventi selvicolturali detti 9 metri dovrebbero essere suddivisi sostanzialmente in 2 settori:
- il primo, a ridosso del corso d’acqua e denominato “fascia interna”, ampio meno della metà del totale (circa 4 metri), costituito da fusti aventi diametro di 2 cm a 1,60 metri da terra per l’intero tratto fluviale d’interesse;
- il secondo, esterno e denominato “fascia esterna”, ampio più della metà del totale (circa 5 metri), costituito da fascia ripariale soggetta a trattamento selvicolturale da rapportare quali-quantitativamente alle cenosi presenti.
La motivazione di riservare più della metà della profondità della zona riparia alla fascia esterna è relativa alla tutela paesaggistica del corso d’acqua.
Nello specifico si avrebbero:
- n. 2 fasce interne longitudinali, una in sponda sinistra ed una in sponda destra, lunghe entrambe 45 Km. L’obiettivo di avere fusti con diamentro di 2 cm a 1,60 metri da terra potrebbe essere raggiunto, in concreto, attuando tagli raso in corrispondenza di superfici modeste (50-100 mq), non in continuità fra loro; successivamente – grazie a sfolli precoci – dovrebbe essere controllato il processo di rinnovazione, regolando la classe diametrica e la densità sui valori desiderati. Il taglio raso dovrebbe comunque preservare pochi alberi, stabili e vigorosi, di qualsiasi specie arborea purché non di pioppo nero e specie alloctone, distanziati in modo tale da garantire la continuità longitudinale dell’ombreggiamento dell’intero corso d’acqua. Anche se il taglio raso rappresenta una delle utilizzazioni più impattanti sotto il profilo paesaggistico, si reputa che la schermatura assicurata dalla fascia esterna possa minimizzare – fino a rendere inesistente – tale criticità.
- n. 2 fasce esterne longitudinali, una per sponda, lunghe anch’esse 45 Km ognuna. In corrispondenza di queste andrebbe attuata una forma di utilizzazione che dia massima priorità ed importanza alle esigenze bio-ecologiche della vegetazione. Tra le più consone figura quella dei “tagli modulari” teorizzata da Orazio Ciancio (1981, 2009), che mira alla costituzione di un insieme biologico autosufficiente in cui siano assicurati la funzionalità biologica, il miglioramento genetico, la perpetuità e l’uso – superando concettualmente ed escludendo aprioristicamente la nozione di turno e di diametro di recidibilità. I tagli modulari possono adattarsi ai più svariati tipi di bosco, operando su superfici ridotte distribuite irregolarmente nello spazio, a mezzo di tagli a scelta a piccoli e/o a piccolissimi gruppi (50-100 mq). Ed è proprio questo che servirebbe per la fascia esterna: interventi mirati, finalizzati in primo luogo a prelevare soggetti deperienti e/o instabili, in modo da favorire l’affermazione di quelli stabili e vigorosi, e che contestualmente tenda ad ottimizzare la rinnovazione naturale; tale ultimo aspetto anche con la finalità, ove necessario (cfr. Azione 2), di ampliare la fascia ripariale. Nel settore della fascia esterna detta pratica selvicolturale dovrebbe favorire la rinnovazione naturale dei salici e dell’ontano nero: perché entrambi componenti essenziali di habitat sensu Dir. 92/43/CEE e soprattutto perché, in base alla loro bio-ecologia, meno protagonisti di schianti naturali. Il pioppo nero invece, per le ragioni già richiamate, dovrebbe essere sempre prelevato, indipendentemente dalla momentanea stabilità, dal diametro del fusto, dall’altezza e dall’età. Ciancio reputa imprescindibile il mantenimento di provvigioni minimali, asserendo che il prelievo è condizionato alla fertilità: del 18-20% per le specie eliofile, del 13-15% per quelle a temperamento medio, dell’8-10% per quelle tolleranti l’aduggiamento.
La sussistenza ipotizzata di fusti di diametro di 2 cm a 1,60 m da terra (per cui di circa 2,5 cm a petto d’uomo) sul 44% della fascia ripariale (ovvero su 56 ettari) distanziati mediamente – si ritiene plausibile – 70 cm gli uni dagli altri, determinerebbe la presenza di circa 20.400 alberi ad ettaro (10.000/0,72 ), con un’area basimetrica totale pari a 560 mq/Ha.
[Gtot = (3,14/4) x (0,025)2 x 20.400 = 10 mq/Ha x 56 Ha = 560 mq/Ha]
Utilizzando un coefficiente di forma pari a 0,5 e considerando un’altezza media di 4 metri, si ricava un volume totale di 1.120 mc. Dal momento che per le formazioni ripariali possono considerarsi nella media cubature pari a 110 mc/Ha (Regione Emilia-Romagna, 2000), questo vuol dire che l’attuale volumetria degli alberi in piedi all’interno della fascia interna ammonta a circa 6.160 mc, con una differenza di 5.040 mc da prelevare al fine di raggiungere uno stato della vegetazione, con riferimento a quella più prossima al corpo idrico, coerente con l’obiettivo di Piano, ovvero quello di contribuire alla mitigazione del rischio idraulico.
Proporzionalmente, in corrispondenza delle fasce esterne (56% della fascia ripariale totale, ovvero 72 ettari), sarebbero presenti circa 7.920 mc, da trattare come già descritto con tagli modulari.
La creazione di due fasce interne longitudinali per ogni sponda tende da un lato a creare un buffer al corso d’acqua ampio in totale 8 metri, nel quale siano remote le probabilità di caduta di alberi che possano interessare l’alveo ed il cui popolamento sia costituito da fusti massimamente flessibili, di minimo intralcio alla corrente; dall’altro, le fasce esterne tendono a conservare e mantenere un “cuscinetto” vegetazionale che soddisfi le esigenze paesaggistiche e di conservazione degli habitat e della fauna secondo le Direttive 92/43/CEE e 2009/147/CE. Va considerato, inoltre, che la presenza di fusti sottili in corrispondenza della fascia interna (quella prossima al fiume), e di fusti aventi diverse classi diametriche in corrispondenza di quella esterna, semplificherebbe notevolmente – a regime – le operazioni selvicolturali.
Nell’immediato (nel senso prima dell’attuazione dell’Azione 2), nei casi in cui la zona ripariale sia, per sponda, più ampia di 9 metri, le 2 fasce (interna ed esterna) dovrebbero mantenere le ampiezze di 4 e 5 metri. Nel caso di zone ripariali profonde da 4 e 9 metri per sponda, la fascia esterna dovrebbe essere sempre di 5 metri e quella interna di dimensioni variabili di conseguenza. Nel caso invece di zone ripariali ampie meno di 4 metri, allora non potrebbe essere attuato il principio della doppia fascia, e dovrebbe essere mantenuta solamente quella esterna, favorendo così la tutela paesaggistica e naturalistica. Questo perché la realizzazione della doppia fascia vegetale lungo gran parte dei 45 Km di tratto fluviale contribuirebbe comunque a far sì che vi sia una riduzione del rischio idraulico.
Le utilizzazioni dovrebbero, in parte, essere destinate alla realizzazione delle opere di cui all’Azione 4, in parte rilasciate (dopo triturazione) sul letto di caduta, in parte destinate alla vendita (ad esempio come cippato da destinare a centrale energetica).