Questa sezione descrive i fattori ambientali che hanno concorso, unitamente a quanto accaduto in passato, alla necessità di proporre uno strumento di Piano intercomunale ai fini della gestione della fascia ripariale del medio Nera. Tale attività pianificatoria è orientata a rappresentare il dispositivo tecnico-operativo del CdF, il quale mantenendo saldo il punto di riferimento costituito dall’insieme di norme ed indirizzi operativi dettati dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale, si prefigge l’obiettivo di contribuire a mitigare il rischio idrogeologico, assolvendo al tempo stesso al raggiungimento dei plurimi obiettivi di carattere socio-economico e paesistico-ambientale in precedenza richiamati.
Recenti eventi di piena e criticità idrauliche

Come già anticipato, il sistema informativo sulle catastrofi idrogeologiche (SICI) elaborato dal CNR riepiloga dati connessi agli eventi di piena – per ogni Comune – relativi al periodo compreso fra l’anno 860 ed il 2001, per un arco temporale complessivo di circa 11 secoli. Tali dati traggono origine dalla consultazione degli archivi storici, i cui fondi contengono preziose informazioni relative a frane ed inondazioni verificatesi in passato sul territorio. Grazie a ciò dunque, è oggi possibile sapere con buona approssimazione quali e quanti siano stati gli eventi, nell’ultimo millennio, che hanno interessato anche i diversi fondovalle.
Il periodo preso in considerazione dal SICI termina come si diceva al 2001, mentre per gli ultimi vent’anni circa una fonte di grande rilievo perché accessibile a chiunque – la quale conserva notizie di stampa risalenti anche a molti anni fa – è sicuramente costituita dal web.
Tra l’altro è ragionevole ritenere che gli eventi occorsi negli ultimi anni, e di seguito menzionati, siano anche quelli più vivi nella memoria di chi oggi – amministratore e/o decisore politico – sulla base soprattutto della propria esperienza, sente la necessità di contribuire a mitigare un rischio, quello idrogeologico e idraulico prima di tutto, che risulta indissolubilmente legato allo sfruttamento del fondovalle da parte della popolazione.
Durante l’inverno di più di vent’anni fa – era esattamente il 10 febbraio 1999 – e la successiva primavera (il 20 aprile), si sono verificati in Valnerina due eventi di piena che hanno provocato danneggiamenti lungo tutto il fondovalle del Nera (Fig. 1). Il SICI li riporta solamente per i Comuni di Cascia e Scheggino, ma in realtà l’area colpita fu molto maggiore. Durante il primo episodio si registrò a Vallo di Nera una portata di picco di circa 65 mc/s, la quale provocò l’allagamento di terreni agricoli, il danneggiamento di alcune opere idrauliche di difesa spondale e l’aggravamento di fenomeni erosivi già noti mentre, fortunatamente, non si verificarono danni a centri abitati. Durante il secondo episodio la portata di picco fu di circa 15 mc/s, sufficienti nonostante ciò a provocare l’esondazione in alcuni tratti.
Sempre per il Nera eventi di minore entità si sono verificati nel 2001, mentre un caso di maggiore rilevanza si è avuto nell’autunno del 2005, quando il picco di piena ha raggiunto i 100 mc/s. In conseguenza di ciò si è verificata l’esondazione del corso d’acqua lungo sostanzialmente l’intera asta considerata dal presente Pia.ME.NER.

Al di fuori dell’asta principale, ma comunque nel sottobacino, nel 2012 incessanti piogge hanno determinato il deposito di materiale detritico presso il fosso della Fontanaccia nella frazione di Ruscio di Monteleone di Spoleto. Nel 2014 invece, presso la frazione di Montefiorello del Comune di Vallo di Nera, si è verificato un evento di eccezionale entità: una “bomba d’acqua” ha generato infatti una violenta colata di detriti (Debris flow) in corrispondenza del fosso di Montefiorello, colata che ha investito il centro abitato di cui sopra mettendo a repentaglio le proprietà, nonché l’incolumità, degli abitanti del piccolo borgo. L’insieme di acqua e detriti ha trascinato auto, alberi e massi, depositando ingenti quantità di pietrame dalle dimensioni che sono variate da qualche centimetro ad oltre un metro.
Nel 2017, una portata di piena registrata a Vallo di Nera di quasi 90 mc/s, ha provocato l’esondazione del medio Nera, senza fortunatamente causare problemi alle abitazioni. Di seguito alcune immagini dell’evento del 2017, ritratte in corrispondenza degli abitati di Borgo Cerreto e di Piedipaterno (Fig. 2).
A settembre del 2019 l’area di Monteleone di Spoleto è stata nuovamente colpita da una “bomba d’acqua”, con ruscellamenti e scorrimenti idrici superficiali, i quali hanno causati allagamenti e smottamenti, con conseguenti danneggiamento di beni.
Infine, nel dicembre 2019 il fiume Corno ha quasi raggiunto il livello di guardia.
Dai dati del SICI e da quanto appena riportato si evince una certa periodicità dei fenomeni di esondazione, periodicità oggettivamente interpretata per mezzo degli strumenti statistici dall’Autorità di bacino distrettuale, come meglio illustrato nel prosieguo della presente sezione.
Gli episodi di piena, più o meno rilevanti, possono contribuire – specialmente ove la fascia ripariale non sia oggetto di gestione attiva e quindi formata da componenti vegetazionali deperienti e/o senescenti – allo schianto, all’abbattimento nonché all’eradicazione delle alberature presenti lungo le fasce spondali. Una volta in alveo, trascinate dalla corrente, dette alberature andranno a rappresentare grave ostacolo al regolare deflusso idraulico, condizione che innalza il livello di rischio per persone e cose. Con le immagini qui presentate si evidenziano delle situazioni presenti lungo il corso del medio Nera, che andrebbero però accuratamente evitate, in quanto in caso di aumento della portata queste saranno destinate a creare ostruzioni e “colli di bottiglia” in alveo (cfr. galleria fotografica sottostante).
Mappatura della pericolosità e del rischio lungo il Medio Nera
Per parte del tratto fluviale di 45 Km considerato dal presente lavoro, che interessa i Comuni di Preci, Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Sant’Anatolia di Narco e Scheggino, l’Autorità di bacino distrettuale ha individuato – a partire dalla confluenza del Corno nel Nera – le aree in cui la probabilità che si verifichino alluvioni è elevata (tempo di ritorno tra 20 e 50 anni), media (tempo di ritorno fra 100 e 200 anni) e bassa (tempo di ritorno dall’evento fino a 500 anni). Dovessero essere raggiunte, dall’esondazione, le aree per le quali la probabilità è più bassa, allora l’alluvione sarebbe di estrema intensità.
Si riportano, con le immagini che seguono, le aree per le quali l’esondazione ha differenti probabilità di verificarsi (fonte dei dati: shapefile gentilmente concessi dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale). L’Autorità di bacino distrettuale – in funzione dell’elaborazione del Piano di gestione del rischio alluvioni – ha “mappato il rischio”, associando alle mappe di pericolosità diversi elementi quali: il numero indicativo di abitanti potenzialmente interessati, le infrastrutture e le strutture strategiche, i beni ambientali, storici e culturali di rilevante interesse, la distribuzione e tipologia delle attività economiche insistenti nell’area potenzialmente interessata, gli impianti di cui all’all. 1 al D. Lgs. 59/2005 e le aree protette individuate all. 9 parte III del D. Lgs. 152/2006.
Come detto in precedenza, i livelli di rischio sono 4, dal più lieve al più severo: R1, R2, R3 ed R4. Con le immagini sotto riportate s’illustra la mappatura di ogni classe di rischio presente lungo l’asta del Medio Nera, dal Comune di Cerreto di Spoleto a quello di Scheggino: R1 (in verde – Fig. 3), R2 (in giallo – Fig. 4), R3 (in arancione) ed infine R4 (in rosso).
Prendendo le due classi di rischio più distanti fra loro (R1 rischio più lieve ed R4 rischio più severo), a differenza delle aree classificate R4 (tutte sostanzialmente sovrapponibili a centri abitati), le aree a rischio R1 riguardano buona parte del fondovalle compreso fra Triponzo e Ceselli. Sembra superfluo sottolineare che per le aree a rischio idraulico, la probabilità che alberi eradicati, abbattuti o schiantati dalla piena possano andare a costituire ostruzione o ostacolo al deflusso idraulico dovrebbe essere se non nulla, almeno molto bassa.


Stato attuale e possibile evoluzione della fascia ripariale
Secondo un’importante definizione data anni fa, un alveo si può definire stabile (o meglio in equilibrio dinamico) con riferimento alla scala temporale degli ultimi 10-15 anni circa se, pur eventualmente modificando il proprio tracciato in maniera graduale, mantiene mediamente invariata la sua forma e le sue dimensioni caratteristiche (larghezza e profondità della sezione, pendenza, dimensione dei sedimenti). Al contrario un alveo si può definire instabile quando, in riferimento alla stessa scala temporale, varia significativamente le sue dimensioni o la sua forma (Rinaldi M. e Surian N., 2002). Dato tale assunto, allora il Nera – per il tratto di interesse – può definirsi un fiume sostanzialmente stabile. Naturalmente nessuno può dire quale sarebbe la situazione in assenza delle esistenti ingenti derivazioni.
Allo stesso tempo, anche per l’ampiezza della fascia ripariale (o fascia tampone) la letteratura fornisce parametri utili a valutare la sua adeguatezza.

L’immagine a lato (Fig. 5) è tratta dal testo “Linee guida per la gestione dei corsi d’acqua svizzeri” (2003) e, approssimativamente, indica quale estensione dovrebbe avere avere la fascia di vegetazione di sponda in relazione alla larghezza d’alveo.
Se, ad una valutazione sommaria, molte sezioni dei 45 Km della fascia fluviale considerata sembrerebbero poter rientrare nei termini indicati, molte altre sono invece lontane dal soddisfare detti requisiti. Conferma di ciò si trae dall’analisi dell’uso del suolo, ove secondo la Corine Land Cover più dei due terzi della fascia entro 20 metri dalla sponda risulterebbe destinato ad aree agricole.
Come è noto, le fasce tampone svolgono una serie di funzioni ecologiche fondamentali per l’equilibrio degli ambienti (fluviale e terrestre) con cui entrano in contatto:
- contribuiscono a ridurre l’apporto di sostanze inquinanti di origine antropica nelle acque superficiali e sotterranee, funzionando come filtri naturali (da qui la definizione di “fasce tampone”);
- rimuovono i nutrienti (azoto e fosforo), provenienti dai suoli agricoli e presenti nelle acque sotterranee e di ruscellamento;
- garantiscono un’azione antierosiva, aumentando la scabrezza delle sponde, rallentando i flussi superficiali ricchi di sedimenti, favorendo l’infiltrazione e la permanenza dell’acqua nel terreno;
- consolidano degli argini;
- sono importantissimi corridoi ecologici naturali, soprattutto in aree ad alta frammentazione ambientale, che in condizioni naturali o di buona conservazione offrono una serie di habitat idonei a molte specie selvatiche floristiche e faunistiche, con particolare riferimento all’avifauna migratrice, contribuendo al mantenimento della biodiversità;
- arricchiscono la varietà dei microambienti acquatici, creando nicchie ecologiche, anche attraverso la deposizione di materiale detritico;
- condizionano favorevolmente il microclima, creando ombra e regolando dunque la temperatura dell’acqua, modificando l’intensità luminosa, attenuando l’escursione termica diurna e stagionale, proteggendo dal vento ed aumentando l’umidità;
- aumentano la varietà paesaggistica.
Che la fascia ripariale vada potenziata è disposto dal Piano di gestione della ZSC “Valnerina”, il quale sia per l’alneto che per le formazioni a salici e pioppi – che insieme rappresentano la quasi totalità della vegetazione presente lungo i 45 Km – promuove ed incentiva testualmente “l’ampliamento della fascia di vegetazione ripariale e la salvaguardia delle formazioni di mantello”.
Oltre a tale profilo, maggiormente legato alla conservazione delle risorse naturali, la fascia di vegetazione contermine al corpo idrico andrebbe ampliata anche al fine di rafforzare l’insostituibile ruolo di cerniera geografico-ecologica qui richiamato.
Detto indirizzo però non dovrà, in caso di attuazione, costituire nocumento al regolare deflusso idraulico, pertanto un eventuale potenziamento della fascia tampone dovrà tener conto della ecologia specie-specifica e del funzionamento dei sistemi forestali propri dell’ambito fluviale (vai alla sezione).
Bibliografia
Ciancio O., Corona P., Marchetti M. e Nocentini S., 2002 – Linee guida per la gestione sostenibile delle risorse forestali e pastorali nei Parchi Nazionali. Accademia Italiana di Scienze Forestali, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
Del Favero R., 2010 – I boschi delle regioni dell’Italia centrale. Tipologia, funzionamento, selvicoltura. Coop. Libraria Editrice Università di Padova, 425 pp.
Heeb J. Schonborn A. 1997- Etude ResEAU suisse ProNatura Basilea.
Pedrotti F. e Gafta D., 1996 – Ecologia delle foreste ripariali e paludose dell’Italia. L’uomo e l’ambiente, 23. Camerino, 165 pp.
Preti F., Settesoldi D., Mozzanti B., Paris E., 1996 – Criteri e procedure per la valutazione delle piene del territorio toscano. Atti XXV Convegno di idraulica e costruzioni idrauliche, Torino.
Rinaldi M., Surian N., 2002 – Variazioni morfologiche ed instabilità di alvei fluviali: Metodi ed attuali conoscenze sui fiumi italiani. Atti Giornate di studio su Dinamica Fluviale, Ordine dei Geologi – Regione Marche. Grottammare (AP), 14-15 Giugno 2002.
Ufficio federale dell’ambiente, delle foreste e del paesaggio e Ufficio federale delle acque e della geologia della Confederazione svizzera, 2003 – Linee guida per la gestione dei corsi d’acqua svizzeri. Berna