Premessa

Un evento di piena è, per sua natura, causato da eventi meteorici di eccezionale rilevanza: grandi quantitativi di pioggia cadono in relativo poco tempo (parametro misurabile con l’intensità di pioggia), e se ciò è abbinato allo scioglimento di spessi manti nevosi, allora lo scorrimento superficiale è ancora maggiore; in questi casi l’alveo di modellamento (ovvero quello interessato da piene di ritorno ogni 2 anni – Preti et al., 1996) non riesce a contenere i volumi idrici che di norma lo interessano.

La presenza della fascia ripariale assume un ruolo negativo solo nel momento in cui gli elementi che la compongono subiscono la eradicazione, l’abbattimento o lo schianto, quindi il trascinamento da parte della corrente, andando a costituire grave ostacolo ed ostruzione al naturale deflusso idraulico. Quando invece la fascia ripariale non “cede” alla forza delle acque, allora la sua azione contenitiva del flusso idrico – garantita in primo luogo dalla scabrezza delle sponde e dal consolidamento degli argini – assume carattere vantaggioso, risulta cioè migliorativa del deflusso delle acque del fiume. Affinché non ceda però, il popolamento forestale che costituisce la fascia ripariale non dev’essere – anzitutto – deperiente e/o senescente.

Allo stesso tempo, l’osservazione del comportamento del Nera in occasione degli eventi di piena ai quali si è fatto riferimento, peraltro non sempre da considerarsi come eccezionali, consente di rilevare che l’alveo del fiume – per buona parte della porzione considerata dal presente Pia.ME.NER. – presenta una sezione relativamente esigua, insufficiente a contenere i deflussi: questo anche quando le piene risultano modeste. I fattori che contribuiscono a restringere la sezione sono molteplici: un ruolo sfavorevole è certamente giocato dalla presenza della rete viaria di fondovalle, ma anche la presenza di opere idrauliche (argini, muri, gabbionate etc.), spesso funzionali a trovare rimedio a problemi aventi natura “puntuale”, non fanno altro che spostare il medesimo problema più a valle o più a monte del sito d’intervento. Anche la presenza di argini a protezione di terreni agrari finisce per sottrarre al fiume ampie aree che prima fungevano da casse di espansione naturale.

Tali situazioni sono biasimate dalla Direttiva Alluvioni, la quale a proposito delle pianure alluvionali recita testualmente: “(…) al fine di conferire maggiore spazio ai fiumi, tali piani (intendendo i Piani di gestione del rischio alluvione, ndr) dovrebbero comprendere, ove possibile, il mantenimento e/o il ripristino delle pianure alluvionali, nonché misure volte a prevenire e a ridurre i danni alla salute umana, all’ambiente, al patrimonio culturale e all’attività economica (…)”.

Da appaiare a tale concetto vi è quello dello “spazio di libertà”, ossia lo spazio necessario al corso d’acqua per svolgere la propria dinamica naturale e le sue funzioni. Naturalmente è possibile dimensionare lo spazio di libertà, e la letteratura fornisce degli utili spunti. Secondo infatti uno studio svizzero della fine del secolo scorso (Heeb J., 1997) per un alveo di 5 m di larghezza dovrebbe essere previsto uno spazio di libertà di circa 30 m e per un alveo di 10 m uno spazio di almeno 50 m.

Tale condizione è difficilmente riscontrabile lungo l’ambito territoriale di che trattasi, poiché è diffusa la concezione secondo la quale una volta che il fiume non rimane nel suo alveo di modellamento allora vanno automaticamente adottate misure per il suo contenimento.

L’insufficienza di spazio fa si che il corpo lotico, elemento naturale dinamico, in continua evoluzione, in una parola “vivo”, sia costretto a rimanere in una sede che non sempre rappresenta quella più adatta al decorso delle sue acque, determinando una reazione che non può essere diversa da quella dell’aumento del potere erosivo. Quando poi a ciò si aggiungono ostruzioni e “colli di bottiglia” causati da materiale vegetale in alveo, allora, in occasione di eventi meteorici straordinari, il rischio idraulico per persone e cose non può che aumentare.

Ecco dunque che la gestione attiva della fascia ripariale può contribuire alla mitigazione di questo tipo di rischio. Non potendo ovviamente agire sulle portate, non potendo intervenire sulle infrastrutture preesistenti o su altre opere che vincolano il naturale decorso delle acque fluviali, fra le poche azioni che sembra ragionevole intraprendere vi è quella di una gestione attiva ed efficace della fascia ripariale, gestione che ne potenzi il ruolo positivo, affiancata dall’avvio di un percorso di sensibilizzazione che conduca, nel tempo, a realizzare opere di difesa spondale meglio e sempre più integrate nell’ecosistema fluviale, financo costruite con materiale vegetale proveniente dalle stesse formazioni di mantello.

La presenza, in corrispondenza della fascia fluviale, di istituti di salvaguardia e protezione delle risorse naturali nonché del vincolo paesaggistico, indurrebbe a ritenere in contrapposizione il concetto di tutela con quello di gestione. Ai fini però di un innalzamento del livello di sicurezza idraulica questa visione antitetica dovrebbe essere superata senza esitazione. Lo stesso Piano di gestione della ZSC “Valnerina” promuove infatti l’ampliamento della fascia di vegetazione ripariale. Ai fini di sicurezza idraulica tale indicazione non può però essere svincolato dall’avere come comune obiettivo quello di mantenere un popolamento forestale composto da soggetti giovani, non soggetti a regolare schianto a causa per esempio di un temporale, e che assolva al meglio oltre che alla funzione ecosistemica, anche a quella di difesa idrogeologica. Va sempre tenuto ben presente infatti che secondo l’Autorità di bacino distrettuale la probabilità che si possano verificare alluvioni è da considerarsi elevata per la gran parte del fondovalle considerato dal presente lavoro (si veda precedente approfondimento).

Sempre sul tema della conservazione vale inoltre la pena chiarire che per la tematica in esame questa non può essere attuata su scala “locale”, ma dovrebbe configurarsi come “globale”. Risulta infatti arduo, se non quasi illusorio, pensare di conservare un preciso nucleo forestale ubicato in un dato luogo lungo la fascia ripariale, quando è evidente che l’ecosistema acquatico può cambiare in modo fulmineo le sue caratteristiche (ad esempio in concomitanza di piene), alterando o addirittura eliminando quel preciso nucleo forestale, mentre l’ecosistema terrestre recupera spazio e condizioni di stabilità molto lentamente rispetto alla velocità di movimento del fiume. Risulterebbe dunque maggiormente realistico porsi l’obiettivo di conservare nel tempo un mosaico sufficientemente articolato di formazioni all’interno di un’ampia superficie, garantendo così il mantenimento di un elevato livello di biodiversità (Pedrotti F. e Gafta D., 1996).

Oltre a quanto sopra emerso, anche altri aspetti – seppur secondari – concorrono a far si che un piano di gestione della fascia ripariale – il quale garantirebbe un costante monitoraggio del territorio – venga redatto e gli interventi ivi indicati messi in opera.

Il primo riguarda il rispetto dell’ambiente attraverso una sua accezione ampia ed è relativo al contrasto all’inquinamento delle acque da plastica. Questo tipo di inquinamento rappresenta oggi una delle emergenze ambientali più gravi, in particolare per le specie marine che abitano gli oceani. Tale tematica risulta molto attuale, nel Mar Mediterraneo sono centinaia di migliaia infatti le tonnellate di plastica che finiscono ogni anno in acqua, e attraverso il monitoraggio costante delle acque del Medio Nera si potrebbe contribuire – per quanto possibile – a ridurre il quantitativo di plastica in mare. Detto monitoraggio potrebbe appunto essere svolto, anche con l’aiuto di volontari e associazioni ambientaliste, nell’ambito del Pia.ME.NER..

Infine vi è da considerare attentamente che a seguito del sisma che ha colpito l’Italia centrale nel 2016 nonché a seguito dei contraccolpi subiti dalla sfera turistica in concomitanza della pandemia, anche in Umbria interi settori dell’economia hanno subito pesanti ripercussioni negative (se non veri e propri tracolli), creando le condizioni per un potenziale generale spopolamento, a carico in particolare dei territori montani. Un campo che ha subito forse in modo minore tale contraccolpo, e che anzi oggi si configura quale traino per il rilancio del territorio e per la ripresa di una comunità così duramente colpita, è costituito dalle attività sportive svolte lungo i corsi d’acqua, le quali attraggono turisti ed appassionati. I soggetti gestori di queste attività potrebbero in futuro, nell’ambito del Contratto di fiume e del Pia.ME.NER più nello specifico, prestare ove necessario la loro eventuale opera di fattiva collaborazione ed ottenere in cambio condizioni ottimali allo svolgimento delle loro attività, garantite dall’assenza di materiale vegetale in alveo.

Viene dunque qui di seguito descritto nel dettaglio il Piano di gestione della fascia ripariale del Medio Nera, i progetti previsti nell’ambito di detto piano nonché le possibili fonti di finanziamento dei singoli interventi. Detto Pia.ME.NER., in considerazione delle tipologie di attività di gestione forestale elencate dal comma 1 art. 7 del DLgs 3 aprile 2018 n. 34 “Testo unico in materia di foreste e filiere forestali” – in particolare di quelle finalizzate alla prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico – vorrebbe contribuire a definire una chiara cornice tecnico-normativa per le attività di gestione forestale da attuarsi in corrispondenza della fascia ripariale del medio corso del Nera

Trattandosi di Piano di gestione forestale, la traccia dei contenuti in esso presenti è obbligatoriamente ascrivibile all’art. 7 del Regolamento Regionale 7/2002 (norma di attuazione della legge regionale 19 novembre 2001, n. 28 “Testo unico regionale per le foreste”) anche se in questa sede l’approfondimento relativo all’analisi assestamentale è risultato ridimensionato, lasciando maggiore spazio alle pratiche selvicolturali ed alle analisi funzionali alla realizzazione di opere di sistemazione idraulico-forestale (realizzate anche con tecniche di ingegneria naturalistica, art. 7 DLgs 34/2018), le quali vanno dunque a costituire l’oggetto preminente dell’attività di pianificazione.

Ciò premesso è ragionevole affermare che il presente Piano, orientato a rappresentare il dispositivo tecnico-operativo del futuro Contratto di fiume, vada a configurarsi come strumento di pianificazione tematico ed intercomunale, il quale mantenendo saldo il punto di riferimento costituito dall’insieme di norme ed indirizzi operativi dettati dall’Autorità di bacino distrettuale dell’Appennino Centrale, si prefigge l’obiettivo di contribuire a mitigare il rischio idrogeologico proponendo interventi che già in fase di pianificazione abbiano ponderato il coordinamento di ogni esigenza, tra cui: valorizzazione del territorio agrario (con contestuale sviluppo socio-economico delle popolazioni montane), efficace gestione selvicolturale delle specie forestali, tutela paesaggistica, conservazione della biodiversità, protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili.


Manutenzione del territorio e comprensione delle dinamiche naturali: un approccio unitario non più rinunciabile

Grazie prevalentemente alla normativa discendente da convenzioni internazionali nonché da direttive comunitarie, e ad una conseguente accresciuta e sempre crescente sensibilità ambientale, quando si parla di pianificazione di ambiti fluviali viene considerato ormai quasi scontato adottare un approccio basato sulla rinaturalizzazione o, con un lessico più scorrevole, rinaturazione degli stessi.

In alcuni casi si è infatti già invertita la tendenza, in altri tale processo culturale è in corso, secondo cui per rendere più sicuro un alveo è spesso necessario diminuire la sua artificializzazione. All’incirca fino alla fine del secolo scorso gli interventi di messa in sicurezza in ambito fluviale sono stati quasi sempre rappresentati da continuo innalzamento dei rilevati arginali (non di rado in cemento), rivestimenti d’alveo, rettificazioni. Questo con l’unico scopo di aumentare la velocità del deflusso e dunque spostare il problema della piena sempre più verso valle. Tale irrigidimento dell’assetto fluviale ha generalmente provocato l’accentuarsi di problemi erosivi, a valle oppure a monte dell’opera idraulica realizzata.

In Europa, oggi, i corsi d’acqua che vengono presi a modello perché riescono a coniugare sicurezza idraulica, pregio naturalistico e fruizione turistico-ricreativa sono quelli che hanno subito un processo di rinaturazione, ancor di più quelli che hanno conosciuto bassi livelli di artificializzazione. Il riferimento è a realtà territoriali molto diverse fra loro: si pensi ad esempio a quella vasta e straordinaria rappresentata dal Tagliamento in Friuli-Venezia-Giulia, considerato in molti tratti uno dei fiumi a miglior funzionamento ecomorfologico del continente; al fiume Aire in Svizzera, che nel 2019 ha vinto il Premio del Paesaggio del Consiglio d’Europa; al fiume Isar in Baviera; ma anche a piccoli bacini nostrani, come quelli del rio Mareta in Alto Adige o del torrente Bevano in Romagna; esempi tutti diversi fra loro, ma che riscuotono unanime apprezzamento perché negli anni la progettazione è stata improntata alla riduzione della loro artificialità, oppure la “non progettazione” ha meglio coniugato i tre scopi sopra richiamati.

A questo scenario dato da una ritrovata consapevolezza ambientale, scenario più che mai reale nell’epoca che stiamo vivendo, se ne affiancano altri tre, altrettanto reali e concreti.

Secondo aspetto dunque: quello della “artificializzazione indiretta”. I corsi d’acqua sono stati spesso confinati da opere dell’uomo quali abitati, attività produttive e strade, con conseguente restringimento della pianura inondabile finanche della sezione d’alveo, che spesso risulta insufficiente a contenere piene anche con bassissimo tempo di ritorno. Ecco quindi che una minima esondazione assume per l’opinione pubblica la connotazione di calamità naturale ed il fiume additato come “colpevole”, quando è vero il contrario, ovvero che al corso d’acqua sono stati sottratti spazi che erano di sua competenza.

Terzo aspetto. Nell’arco della seconda metà del XX secolo si è compiuto nel Paese un processo di radicale trasformazione delle economie e dell’insediamento, che ha ridotto la popolazione agricola dagli 8,2 milioni del censimento del 1951, ai circa 850 mila occupati in agricoltura della rilevazione delle forze di lavoro del 2011. Questa flessione nell’impiego di lavoro si è accompagnata tra l’altro anche con la restrizione delle aree coltivate.

Quarto e ultimo aspetto. La ovvia risposta alle artificializzazioni, al consumo di suolo, al depauperamento dell’ambiente naturale è stata spesso rappresentata dall’istituzione di aree ed istituti protetti, che se da un lato hanno svolto e svolgono la meritoria azione di tutela della natura e del paesaggio (principio sancito dalla Costituzione), dall’altro – in alcune situazioni – rischiano di cristallizzare settori geografici che non possono permettersi un’evoluzione verso dinamiche totalmente naturali, perché consentirgli di procedere in tale direzione significherebbe lasciare che arrechino nocumento all’uomo. Gli ambiti di fondovalle antropizzati rappresentano a volte l’istantanea di quanto appena descritto.

Considerate tali circostanze, segue ora un breve flash sul contesto del Medio Nera, che deriva dagli approfondimenti riportati nell’apposita sezione ambito territoriale, ma che si ritiene opportuno contestualizzare rispetto ai 4 nodi appena richiamati.

Detto corso d’acqua, nel tratto oggetto di pianificazione, vede una bassa “artificializzazione diretta”; è vero vi sono numerosi sbarramenti ai fini della produzione di energia elettrica e numerosissime captazioni che ne abbassano drasticamente la portata (qui l’approfondimento), ma relativamente poche opere longitudinali in calcestruzzo o in muratura.

Al contrario vi è una evidente “artificializzazione indiretta”: la morfologia di valle stretta e allungata, vincolata da innumerevoli opere dell’uomo poste nel fondovalle (infrastrutture viarie, attività economiche di ogni tipo, centri urbani, case sparse), determina la quasi scomparsa delle aree planiziali naturali e la sussistenza di sezioni d’alveo che spesso risultano insufficienti al deflusso.

Fino a qualche decennio fa anche il fondovalle del Medio Nera era maggiormente interessato dall’attività agricola: ciò determinava l’occupazione dell’intero fondovalle da parte delle colture agrarie, aspetto che risultava imprescindibile ai fini del sostentamento di chi le coltivava. Dette colture si spingevano a ridosso degli argini, determinando la sussistenza di filari arboreo-arbustivi, piuttosto che di una vera e propria fascia ripariale. Questo aspetto – che vedeva i frontisti-coltivatori sempre impegnati nel continuo controllo della vegetazione – determinava, in maniera implicita perché il vero obiettivo era quello di riservare più spazio possibile alle colture, quantitativi legnosi molto inferiori rispetto a quelli che possono provocare oggi problemi al regolare deflusso idrico. L’evidente venir meno di questo presidio agricolo, unito al fatto che nuovi istituti di tutela ambientale si sono affermati negli ultimi decenni – istituti spesso designati proprio per preservare gli ecosistemi fluviali e dunque anche la vegetazione spondale – determina una situazione per la quale, allo stato attuale, una grande massa legnosa è potenzialmente esposta alle naturali esondazioni del corso d’acqua.

A questo punto le parole chiave alle quali non si dovrebbe rinunciare al fine di coniugare mitigazione del rischio idraulico, conservazione ambientale e fruizione turistico-ricreativa, appaiono essere – appunto – “gestione”, nel senso di manutenere il territorio al fine di contribuire alla sua messa in sicurezza, e “rinaturazione”, per gli ambiti che più ne abbisognano, da coniugare con la mitigazione del rischio idraulico. Tali due parole chiave sono interdipendenti.

La rinaturazione del reticolo idraulico e delle sue pertinenze non può infatti prescindere dalla contemporanea manutenzione del territorio sotteso, sia quando esso è interessato da usi – compatibili o da rendere tali – sia quando è abbandonato o dismesso, governandone in tal caso i processi di rinaturazione.

Se quindi si intende la manutenzione come attività continuativa e diffusa per ripristinare, migliorare e garantire la piena funzionalità del territorio, si devono in primo luogo identificare i sistemi territoriali e capire in quale stato essi si trovano in relazione alle funzioni che si desidera debbano assolvere e agli obiettivi condivisi che gli si vuole assegnare.

L’attività di manutenzione, così intesa, diviene strumento fondamentale dell’equilibrio tra l’evoluzione dei fenomeni naturali e le attività antropiche, attività che risente degli effetti globali del cambiamento climatico non meno che degli effetti locali dell’antropizzazione da un lato, e dall’altro della conservazione che può tradursi in abbandono.

In sostanza un’attività di manutenzione che agisca armonizzando gli obiettivi di sicurezza con la qualità ambientale e del paesaggio, fattori imprescindibili per la misura precisa delle effettive condizioni di benessere e di qualità della vita, che ognuno vorrebbe essere soddisfacenti per se stesso e per il proprio ambiente sociale.

Per questo la manutenzione non può essere confinata ad un insieme di interventi puntuali e circoscritti per la riparazione di situazioni locali compromesse, ma richiede un approccio nuovo: unitario, con una visione integrata e multidisciplinare delle dinamiche dei fenomeni naturali ed antropici che caratterizzano il bacino, da intendere come ecosistema anche socio-economico e culturale, oltre che ambientale.

Un approccio per una manutenzione che sviluppi un’attività sistematica di cura dell’ambiente, che si ponga obiettivi e dia risultati e che dunque venga giudicata per i risultati raggiunti, abbandonando progressivamente l’orientamento fondato sull’emergenza, che caratterizza di frequente gli interventi in ambito di dissesto idrogeologico. Per questo non basta però l’azione della sola pubblica amministrazione con la sua filiera della sicurezza, ma sono necessarie sinergie locali con il mondo rurale, le forme consortili, i gruppi di operatori economici, l’associazionismo ambientale nonché qualsiasi altra forma di aggregazione civica.

Ecco dunque che si rende necessario, nel momento in cui il territorio riesce a prendere consapevolezza dell’importanza della sfida che è chiamato ad affrontare e degli enormi vantaggi che dal suo accoglimento possono derivare, il contratto di fiume per il Medio Nera.

Gestione

L’iniziativa volta a gestire la fascia ripariale si trova a fare i conti con tre grandi problemi:

  • quello del reperimento delle risorse finanziarie;
  • quello del reperimento del personale e delle maestranze (che però è in parte sovrapponibile al primo problema);
  • ed infine quello della legittimazione ad operare su porzioni territoriali della pubblica amministrazione o in alternativa di privati.

La gestione della fascia ripariale comporterà la ovvia utilizzazione di parte del soprassuolo presente lungo il tratto interessato. La commercializzazione (ad esempio come cippato) di tale prodotto, unita a specifiche indennità riservate dal PSR al sostegno dei soggetti le cui proprietà ricadono all’interno dei Siti Natura 2000 (si pensi alla Misura M12) permetterebbero quanto meno di affrontare il problema e compensare i costi per lo svolgimento delle attività selvicolturali. Non va dimenticato infatti che al momento, a seguito di criticità del regolare deflusso idraulico causati dalla vegetazione, sussistono solamente costi vivi per la risoluzione degli stessi.

Il reperimento del personale e delle maestranze potrebbe trovare soluzione nel coinvolgimento di enti pubblici e/o agenzie partecipate, qualificati per lo svolgimento di tali interventi (come ad esempio i Consorzi di bonifica) ma, ancor prima, nel coinvolgimento dei proprietari frontisti, che potrebbero costituire cooperative sociali e dunque operare non individualmente, ma in modo coordinato ed organizzato. Prenderebbe corpo in tal modo una strategia di cooperazione istituzionale e di coesione socio-territoriale che potrebbe rappresentare un nuovo modello di operatività nell’ambito della manutenzione territoriale.

Infine qualunque azione sulla fascia ripariale non potrebbe prescindere da un accordo quadro con l’istituzione competente sulla vegetazione spontanea nella fascia immediatamente adiacente i corpi idrici, in questo caso Regione Umbria, così come disposto dal comma 1 art. 115 del Dlgs 152/2006.

Rinaturazione

Il fatto che vi sia un elemento, quello dell’artificializzazione “indiretta” richiamata in precedenza, il quale induca a proporre degli interventi di rinaturazione, porta con sé la constatazione che il quantitativo dei servizi ecosistemici potenzialmente esprimibili dal Medio Nera sia superiore a quello attualmente in essere.

Il concetto di servizi ecosistemici prende corpo alla fine degli anni ’70 del secolo scorso (Westman, 1977), secondo il principio per il quale il valore comprensivo dei benefici forniti dagli ecosistemi, indicati con il termine di servizi della natura, poteva essere quantificato al fine di migliorare gli indirizzi di gestione delle risorse naturali stesse. Quasi trent’anni dopo, il Millennium Ecosystem Assessment (MA 2005) ha definito i servizi ecosistemici come i benefici forniti dagli ecosistemi naturali all’uomo.

A livello di governance, l’Economics of Ecosystems and Biodiversity del 2010 (TEEB 2010) ha incluso i servizi ecosistemici nell’agenda dell’Unione Europea (EU), mentre la Strategia Europea per la Biodiversità 2020 ha integrato l’uso sostenibile dei servizi ecosistemici all’interno dell’approccio di conservazione non-utilitaristica di crescita economica adottato dai paesi membri (European Commission, 2011). Ciò ha avuto riflesso, implicitamente e/o esplicitamente, in altre politiche dell’Unione Europea quali la Strategia Forestale della Commissione Europea del 2013, la Direttiva Quadro sulle Acque (Direttiva 2000/60/EC) e la nuova Politica Agricola Comune (2014-2020).

La presa di coscienza, nell’agenda politica europea e internazionale, dell’importanza della gestione degli ecosistemi naturali al fine di mantenerne la loro funzionalità e la capacità di erogare servizi utili alla società, è stato di fondamentale importanza per l’affermazione di questo concetto e d’impulso alla ricerca scientifica in tale ambito. I servizi ecosistemici possono essere classificati, secondo quanto riportato dal Millennium Ecosystem Assessment (2005), in quattro categorie principali in base alle loro funzioni:

  • servizi di approvvigionamento, che forniscono i beni veri e propri, quali cibo, acqua, legname e fibra;
  • servizi di regolazione, che regolano il clima e le precipitazioni, l’acqua (ad es. le inondazioni), i rifiuti e la diffusione delle malattie;
  • servizi culturali, relativi alla bellezza, all’ispirazione e allo svago che contribuiscono al nostro benessere spirituale;
  • servizi di supporto, che comprendono la formazione del suolo, la fotosintesi e il ciclo nutritivo alla base della crescita e della produzione.

È facile intuire come un ecosistema fluviale possa fornire ognuno dei servizi richiamati, naturalmente più esso risponde a criteri di naturalità, più sarà in grado di offrire servizi quali-quantitativamente migliori. E non bisogna considerare solo servizi quali l’acqua, la fauna ittica, la produzione di energia idroelettrica, ma anche servizi di regolazione quali la capacità auto depurativa, l’equilibrio idrogeologico, o di supporto quali la ciclizzazione dei nutrienti o la presenza di habitat idonei per le comunità.

Tali argomentazioni risultano talmente rilevanti che le valutazioni economiche relative al valore degli ecosistemi fluviali a scala mondiale conducono a valori elevatissimi, soprattutto in rapporto all’estensione percentuale nell’ambito dei territori su cui insistono. Uno studio condotto negli USA su 17 bacini dimostra come, a fronte di un’estensione pari allo 0,71%, agli ambienti fluviali è associato circa il 15% del valore economico totale dei territori indagati (Costanza et. al, 1997).

Dai servizi ecosistemici discende a sua volta la tematica del potenziamento delle “infrastrutture verdi”, con la relativa strategia adottata dalla UE a partire dal 2013. Secondo la Commissione Europea (2019) l’intera rete continentale di Natura 2000, che rappresenta l’ossatura delle infrastrutture verdi, ha da sola fornito benefici in termini di servizi ecosistemici stimabili in 300 miliardi l’anno, mentre quelli derivanti dalle infrastrutture verdi nel loro complesso sarebbero di gran lunga superiori.

Per la UE le infrastrutture verdi devono rientrare di norma nella pianificazione e nello sviluppo territoriale, dal momento che il loro potenziamento garantisce diversi benefici, tra cui anche quello della ritenzione naturale delle acque. Specifiche misure di ritenzione naturale delle acque possono infatti aiutare a rallentare il flusso delle acque meteoriche, incrementare l’infiltrazione e ridurre l’inquinamento mediante processi naturali, incidendo positivamente sulla qualità delle acque, proteggendo dalle alluvioni e contribuendo al raggiungimento degli obiettivi nel campo della biodiversità (Commissione Europea, 2019). Tale tematica, all’interno della quale si colloca pienamente il Pia.ME.NER., è supportato dalla UE sia con un rapporto tecnico (Unione Europea, 2014), che con un apposito manuale tecnico (Strosser et al., 2015).

Il manuale premette che l’attuazione delle misure di ritenzione naturale delle acque (Natural Water Retention Measures, abbreviato in NWRM) possono contribuire contemporaneamente al raggiungimento degli obiettivi di diverse politiche dell’Unione Europea, fra cui: la direttiva quadro sulle acque, la direttiva sulle alluvioni, la strategia dell’UE sulla biodiversità, l’azione europea sulla carenza d’acqua e la siccità, la strategia di adattamento ai cambiamenti climatici della UE o la direttiva quadro sulla strategia marina. Successivamente viene descritto a cosa servono le misure di ritenzione naturale delle acque:

  • possono ritenere l’acqua (di ruscellamento o fluviale) oltre alle capacità esistenti dei sistemi, e rilasciarla con una portata controllata o infiltrandola verso le acque di falda;
  • utilizzano la capacità di ritenzione dei suoli e degli ecosistemi acquatici per fornire altri miglioramenti ambientali, ad esempio la qualità dell’acqua, la biodiversità, la resistenza e l’adattamento agli impatti dei cambiamenti climatici;
  • simulano un processo naturale sebbene non siano sempre misure ‘naturali’ di per sé.

Anche la rinaturazione, come la gestione, ha di fronte tre questioni cruciali: quello del reperimento delle risorse finanziarie per la sua attuazione, quello del reperimento del personale e delle maestranze (in parte anche qui, sovrapponibile al primo problema) ed infine quello della legittimazione ad operare su porzioni territoriali della pubblica amministrazione o in alternativa di privati.

Il secondo punto può essere risolto come nel caso dell’attività di gestione. Il primo non potrà prescindere dalla destinazione di fondi ad hoc, o comunque dall’ottenimento di finanziamenti mediante partecipazione ad appositi bandi. Il terzo punto prevede, oltre alla stipula di un accordo con l’amministrazione regionale, anche accordi con soggetti diversi, nonostante le difficoltà già evidenziate in merito al regime patrimoniale delle particelle tangenti il corso d’acqua.


Azioni e obiettivi del Piano di gestione della fascia ripariale del MEdio NERa, comprensivo di linee guida per la riduzione del rischio idraulico (Pia.ME.NER.)

Vengono ora descritti le azioni e gli obiettivi specifici che si ritengono più aderenti alla concezione di governo dell’ecosistema fluviale descritta ai precedenti paragrafi. Azioni da realizzare al fine di contribuire alla necessaria mitigazione del rischio idraulico: sia attraverso la “gestione” della fascia ripariale, nel senso di manutenere il territorio per contribuire alla sua messa in sicurezza, che attraverso la “rinaturazione” del corpo idrico proponendo – in corrispondenza di quegli ambiti che più ne abbisognano – interventi atti a potenziare l’infrastruttura verde costituita dal Medio Nera, potenziamento da attuare nel senso auspicato dalla Commissione Europea (2019) e soprattutto in base alle misure di ritenzione naturale delle acque NWRM (Strosser et al., 2015). Tali azioni schematicamente sono: realizzazione di interventi selvicolturali in corrispondenza della fascia ripariale esistente; ampliamento della fascia ripariale; allargamento dimostrativo della sezione d’alveo; riconnessione dell’alveo con la pianura inondabile.

La prima azione si riferisce alla gestione della fascia ripariale esistente, mentre tutte le altre si riferiscono al potenziamento dell’infrastruttura verde.

Per ogni azione, nell’ambito della sua descrizione, vengono precisate le seguenti informazioni: obiettivo specifico, localizzazione degli interventi, soggetto attuatore degli interventi, titolo di legittimazione sul terreno interessato dall’intervento, descrizione e motivazione che portano alla proposizione dell’azione.

Esternamente ai 10 metri di cui all’art. 115 del Dlgs 115/2006, per l’attuazione delle azioni, viene ipotizzato l’uso dei terreni di cui alla Tab. 1 qui riportata.

La proposizione delle azioni sopra citate viene effettuata a livello sperimentale, in quanto l’approccio sistemico utilizzato per contribuire alla mitigazione del rischio idraulico lungo il Medio Nera, le tecniche e le modalità operative previste, anche se puntualmente supportati dalla letteratura o incoraggiati dalla UE, non sono mai stati messi in pratica per il tratto fluviale in oggetto. Ne deriva che la futura progettazione riferita ai singoli interventi, anche rientranti nella stessa azione, dovrà prevedere l’esecuzione di varianti, da monitorare negli anni, in modo tale da individuare le realizzazioni che avranno avuto maggiore efficacia ed incisività, le quali rappresenteranno i modelli di riferimento per i successivi interventi.

Di seguito i link alle pagine di approfondimento di ogni singola azione:

L’Azione 1 “Interventi selvicolturali in corrispondenza della fascia ripariale esistente” ha come obiettivo principale quello di ridurre per una frazione di quasi il 50% il volume legnoso in piedi attualmente presente in corrispondenza della fascia ripariale, nonché selezionarlo al fine di rilasciare le specie che con meno probabilità sono in grado causare schianti naturali e dunque – una volta in alveo – problemi al regolare deflusso idrico. Tale azione, sia per come descritta, sia perché accompagnata dall’Azione 2 “Ampliamento della fascia ripariale” – seppur da definire in modo esecutivo attraverso progettazione di dettaglio – concettualmente risulta sostenibile sia sotto il profilo della conservazione degli habitat naturali, sia sotto il profilo paesaggistico.

La localizzazione dell’Azione 1 non si pone l’obiettivo specifico di mitigare il rischio idraulico per i tratti a monte delle aree a maggior rischio idraulico (R3 ed R4, cfr. cartografia sottostante) bensì agisce uniformemente lungo i 45 Km di Nera soggetti a pianificazione, con lo scopo di ridurre nel complesso la biomassa esposta in caso di piena, contribuendo in tal modo alla mitigazione del rischio.

L’Azione 2 vuole potenziare l’infrastruttura verde Medio Nera, implementando il ruolo di difesa idraulica proprio della fascia ripariale, accrescendo la funzione di corridoio ecologico della stessa, aumentando le condizioni di ombreggiamento dell’alveo, accrescendo la capacità della fascia ripariale di assorbire nutrienti in eccesso, aumentando l’infiltrazione dell’acqua nel sottosuolo mediante il rallentamento del ruscellamento superficiale.

L’Azione 3 “Allargamento dimostrativo della sezione d’alveo”, consistente in modesti interventi di risagomatura, tende a suffragare il principio per cui interventi tesi a rallentare la velocità della corrente possono risultare vantaggiosi dal punto di vista ecologico, procurando una diversificazione degli ambienti umidi che equivale a sua volta ad un aumento del locale livello di biodiversità.

L’Azione 4 “Riconnessione dell’alveo con la pianura inondabile” tende a favorire, in caso di aumento di portata, l’occupazione da parte delle acque fluviali della pianura di competenza. Ciò significa solo facilitare – con un’ottica sistemica, di sub-bacino – un processo naturale ed assecondare i processi dinamici del corso d’acqua; all’opposto, l’instaurazione diffusa di “protesi rigide” antierosive non permette al fiume di liberare la sua energia, determinando aumenti di velocità che possono arrecare danni maggiori di quelli prodotti da modeste e frequenti esondazioni.

Se si guarda alla situazione data dall’alluvione che ha colpito il Medio Nera nel 1999 (cfr. immagine sottostante) si evince subito che l’eventuale presenza di opere spondali antierosive rigide nulla avrebbe potuto contro la necessità del corso d’acqua di scaricare la sua energia in corrispondenza delle proprie pertinenze.

L’orientamento alla base delle presenti scelte di Piano è determinato dunque sia dalla necessità di dare una prima risposta – concreta e non illusoria – ai ricorrenti problemi causati dalla vegetazione spondale al regolare deflusso idrico, sia dalla necessità di mettere in atto quelle misure di ritenzione naturale delle acque promosse dall’Unione Europea. Ciò con il fine di avere un corso d’acqua più sicuro, più naturale, maggiormente apprezzabile sotto il profilo paesaggistico e più piacevole nella fruizione ludica e turistica.

Un corso d’acqua che sia percepito meno come un problema, e più come una potenziale, grande risorsa territoriale.


Possibili fonti di finanziamento delle singole azioni

Con l’evoluzione dell’iter di approvazione del Pia.ME.NER. si porrà, in futuro, il problema di come finanziare le azioni che dal Piano dovrebbero scaturire, azioni pensate per contribuire alla mitigazione del rischio idrogeologico, assicurando la salvaguardia paesistico-ambientale e la contestuale valorizzazione del territorio.

Al di là di quali e quante potranno essere le misure specifiche proposte, sia che si parlerà di attività di sensibilizzazione del pubblico per l’adozione di buone pratiche oppure di comunicazione e divulgazione delle conoscenze, sia che si parlerà di interventi diretti di sistemazione idraulico-forestale, sia che si parlerà di indennità a favore degli agricoltori le cui proprietà ricadono in zone soggette a vincoli o costituenti eventualmente aree di progetto (o altro ancora), vi sarà – in ogni caso – un problema legato al reperimento delle risorse per l’attuazione delle misure stesse.

L’esposizione che segue, dunque, cataloga – per ora in maniera generica – alcuni potenziali strumenti finanziari (a carattere locale e non) nei confronti dei quali, prossimamente, porre particolare attenzione perché potenzialmente utili alla realizzazione del Piano.

Fondo integrativo per i Comuni montani

Istituito dalla legge 24 dicembre 2012 n. 228, “Legge di stabilità 2013”, il Fondo integrativo per i comuni montani finanzia progetti di sviluppo socio-economico, anche pluriennali, con carattere straordinario e non riferibile alle attività svolte in via ordinaria dagli enti interessati. Ad esempio, il bando per le annualità 2018, 2019 e residui ha riguardato specificamente gli interventi nel campo della prevenzione del dissesto idrogeologico, con progetti da presentare anche a cura di aggregazioni di Comuni montani.

Fondo nazionale per la montagna

Istituito dalla legge 31 gennaio 1994, n. 97, “Nuove disposizioni per le zone montane”, è finalizzato ai 4.018 Comuni totalmente e parzialmente montani delle Regioni e delle Province autonome; gli importi sono erogati alle Regioni e vanno ad incrementare nei Fondi regionali destinati ai comuni montani (non sono inclusi tra i beneficiari del fondo i comuni capoluogo di provincia e quelli con popolazione totale residente superiore a 40.000 abitanti). L’art. 2 della legge 27 dicembre 2004, n. 309 “Incremento del Fondo nazionale per la montagna per l’anno 2004” ha disposto che i criteri di ripartizione siano stabiliti con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), sentita dalla Conferenza Stato-Regioni, su proposta del Ministro per gli affari regionali, di concerto con i ministri dell’economia e delle finanze e delle politiche agricole e forestali.

Programma LIFE dell’Unione Europea

LIFE è il programma dell’Unione europea nato nel 1992 e mirato alla protezione dell’ambiente, intesa come habitat, specie e biodiversità, come utilizzo efficiente e sostenibile delle risorse naturali, protezione ambientale e governance ambientale a salvaguardia della salute, lotta alle emissioni inquinanti e al cambiamento climatico, miglioramento delle politiche, della governance e introduzione di sistemi più efficaci in ambito ambientale.

Nell’attuale fase di programmazione 2014-2020 è suddiviso in due componenti principali: un sottoprogramma “Ambiente” e un sottoprogramma “Azione per il clima”, a loro volta organizzati in settori prioritari e tipologie di azione.

Un’azione finanziata dal programma LIFE è quella della realizzazione dei progetti, che si dividono in:

Progetti tradizionali, nell’ambito dei settori prioritari di LIFE Ambiente e di LIFE Azione per il clima. Questa tipologia include in particolare:

  • Progetti di buone pratiche, ovvero progetti che applicano tecniche, metodi e approcci adeguati, efficaci sotto il profilo economico e all’avanguardia, tenendo conto del contesto specifico del progetto;
  • Progetti Dimostrativi, ovvero progetti che mettono in pratica, sperimentano, valutano e diffondono azioni, metodologie o approcci che sono nuovi o sconosciuti nel contesto specifico del progetto, come ad esempio sul piano geografico, ecologico o socioeconomico, e che potrebbero essere applicati altrove in circostanze analoghe;
  • Progetti Pilota, ovvero progetti che applicano una tecnica o un metodo non ancora applicato, testato o sperimentato, che offre potenziali vantaggi rispetto alle attuali migliori pratiche e che può essere applicato successivamente su scala più ampia in situazioni analoghe;
  • Progetti di Informazione, sensibilizzazione e divulgazione, ovvero progetti volti a sostenere la comunicazione, la divulgazione di informazioni e la sensibilizzazione nell’ambito dei Sottoprogrammi per l’Ambiente e l’Azione per il clima.

Progetti preparatori, ovvero progetti identificati dalla Commissione in cooperazione con i Paesi membri per rispondere alle esigenze specifiche connesse allo sviluppo e all’attuazione delle politiche e legislazioni dell’Unione in materia di ambiente e clima.

Progetti integrati, ovvero progetti finalizzati ad attuare su una vasta scala territoriale, in particolare regionale, multi-regionale, nazionale o transnazionale, piani di azione o strategie ambientali o climatiche previsti dalla legislazione dell’Unione in materia ambientale o climatica. Tali progetti, elaborati dalle autorità degli Stati membri, sono comunque volti a garantire la partecipazione delle parti interessate e a promuovere il coordinamento e la mobilitazione di almeno un’altra fonte di finanziamento (FESR, FEASR, ecc.).

Progetti assistenza tecnica, ovvero progetti che forniscono un sostegno finanziario per aiutare i richiedenti ad elaborare i progetti integrati e, in particolare, per garantire che tali progetti siano conformi alle tempistiche e ai requisiti tecnici e finanziari del programma LIFE in coordinamento con altri fondi (FESR, FEASR, ecc.).

Piano di sviluppo rurale 2014-2020

Il PSR è lo strumento, finanziato con fondi dell’Unione Europea, dello Stato e della Regione, che si concentra sugli investienti nei settori agricolo e forestale, nonché sulle azioni legate a preservare, ripristinare e valorizzare gli ecosistemi e sulla promozione dell’inclusione sociale e sviluppo economico nelle zone rurali. Le misure alle quali attingere, in un contesto dato dalla gestione attiva di una fascia ripariale in un’area vulnerabile e di particolare pregio come quella del medio Nera, sarebbero molteplici.

Strategia Nazionale Aree Interne Regione Umbria – Area interna Valnerina

A partire dal 2012 la Strategia nazionale per lo sviluppo delle Aree interne ha assunto il duplice obiettivo di adeguare la quantità e qualità dei servizi di istruzione, salute, mobilità (cittadinanza) e di promuovere progetti di sviluppo che valorizzino il patrimonio naturale e culturale di queste aree, puntando anche su filiere produttive locali (mercato).

A febbraio 2019 è stato presentato il rapporto per l’Area interna della Valnerina, che vede il coinvolgimento di 14 Comuni, di cui 10 sono ubicati nella provincia di Perugia (Cascia, Cerreto di Spoleto, Monteleone di Spoleto, Norcia, Poggiodomo, Preci, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino, Sellano , Vallo di nera) e 4 in quella di Terni (Arrone, Ferentillo, Montefranco, Pollino).

I settori prioritari sono quelli dell’istruzione, salute-sociale, mobilità ma anche sviluppo locale, con un contributo ad arrestare la perdita di biodiversità terrestre, anche legata al paesaggio rurale, mantenendo e ripristinando i servizi ecosistemici.

ProteggItalia 2019-2021

Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale

ProteggItalia è il nuovo Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, per la messa in sicurezza del territorio e per opere di prevenzione del rischio.
Il Piano può contare su vari stanziamenti, messi a sistema, che serviranno a finanziare progetti e interventi infrastrutturali.

Il Piano è incardinato su quattro assi fondamentali: Emergenza (di competenza del Dipartimento della Protezione Civile); Prevenzione (Ministero dell’Ambiente e tutela del territorio e del mare); Manutenzione (Ministero delle Politiche agricole, Ministero dell’interno, Ministero della Difesa, Presidenza del Consiglio); Semplificazione e rafforzamento della governance.

Programma Operativo Regionale 2014-2020

L’Asse V, alla luce del pregevole patrimonio ambientale e culturale regionale e ai fini di una valorizzazione integrata di risorse e competenze territoriali, intende favorire il miglioramento delle condizioni e degli standard di offerta e fruizione del patrimonio culturale e naturale.

Nuovo Testo unico in materia di foreste e filiere forestali

L’art. 6 del DLgs 34/2018, al comma 9 recita: “Al fine di promuovere la pianificazione forestale e incentivare la gestione attiva razionale del patrimonio forestale, le regioni possono prevedere un accesso prioritario ai finanziamenti pubblici per il settore forestale a favore delle proprietà pubbliche e private e dei beni di uso collettivo e civico dotati di piani di gestione forestale o di strumenti di gestione forestale equivalenti. (…)

Infine l’art. 7, al comma 8 recita: “Le regioni, coerentemente con quanto previsto dalla Strategia forestale dell’Unione europea COM (2013) n. 659 del 20 settembre 2013, promuovono sistemi di pagamento dei servizi ecosistemici ed ambientali (PSE) generati dalle attività di gestione forestale sostenibile e dall’assunzione di specifici impegni silvo-ambientali informando e sostenendo i proprietari, i gestori e i beneficiari dei servizi nella definizione, nel monitoraggio e nel controllo degli accordi contrattuali. (…)


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